Poesia canaglia

Tempo di lettura: 3 min

 

poesiaAnche se da qualche mese a questa parte scrivere saggi brevi e articoli di giornale esula dai miei compiti, qualche giorno fa un interessante dibattito ha stimolato i miei pensieri. Non conosco con precisione i termini della discussione, ma l’argomento fondamentale riguardava la poesia “dei giorni nostri”.In quest’era di tempi frenetici, tecnologia imperante e dominio della tecnica c’è chi si allarma e denuncia forte la mancanza della poesia nella quotidianità delle vite di noi uomini del terzo millennio.La causa di questa defezione, secondo gli allarmisti più convinti, consiste esattamente nel fatto di vivere nell’era delle intelligenze artificiali, dei comandi vocali e dei touch screen. Ma il vero anticristo, per questi nostalgici della rima baciata, è Facebook. Facebook: l’inibitore della fantasia, l’omologatore di noialtri, lo strumento di un complotto mondiale mirato ad uniformare tutti gli utenti, operando una sorta di lenta lobotomia generale mirata al controllo dei consumi per favorire le multinazionali eccetera eccetera. Ma l’uomo è una strana creatura: i fautori di questa teoria del complotto, per la maggior parte, sono iscritti al suddetto social network. “Ma questa è un’altra storia”. E’ facile additare nelle grandi e grandissime tendenze degli ultimi anni le cause della rovina dei nostri tempi, ma è anche superficiale, inesatto. È vero, le moderne tecnologie tendono ad allontanare dal libro stampato, ma questo non è necessariamente un male da sconfiggere a spada tratta.E’ facile additare nelle grandi e grandissime tendenze degli ultimi tempi le cause di un presunto adombramento dell’arte e della poesia. Ma è assolutamente inesatto. L’errore che si commette comunemente è quello di associare i grandi poeti del passato ad un grande pubblico. Si pensa che, giacché noi viviamo nell’epoca dei social network, non abbiamo né il tempo né la voglia di comporre un sonetto, a differenza di 200 o 100 anni fa, quando non esisteva la tecnologia e quindi TUTTI potevano pensare ad elevare il proprio spirito scrivendo lì, su due piedi, una bella canzone in settenari. Come se fosse cosa da tutti. Non a caso il più sofisticato e toccante grafomane degli ultimi 200 anni, Giacomo Leopardi, viene comunemente considerato dai giovani studenti “uno sfigato”; perché per arrivare a comporre quello che ha composto ha dovuto compiere una scelta: leggere, leggere, leggere, tradurre, tradurre, tradurre. Avrebbe potuto rimanere nei salotti della nobiltà romana (l’antica cloaca massima di tendenze e pettegolezzi? l’antenato del moderno Facebook?), ma no: quell’ambiente non faceva per lui. Stesso discorso per i fruitori: è luogo comune troppo diffuso pensare che Giosuè Carducci, che scrisse a cavallo degli anni dell’Unità d’Italia (inutile menzionare il trambusto), avesse tra i suoi “fan” il ceto medio-basso solo perché “tanto non avevano il computer”. Chi ha tramandato la poesia, ha compiuto uno sforzo tanto quanto i poeti: uno sforzo di allenamento della propria mente alla bellezza. Certo, spesso erano i più fortunati a potersi permettere di studiare: ma questa è una cosa che non è cambiata neanche ai giorni nostri: è necessario studiare. Studiare molto. Grazie al cielo tutti oggigiorno, almeno nel nostro spicchio di mondo, hanno la possibilità di farlo; tuttavia non tutti riescono a per vivere in questo mondo caotico dominato dalle tecnologie maledette, causa della nostra rovina intellettuale e, contemporaneamente a coltivare la bellezza come la poesia.Sarò poco democratica, ma non dico nulla di nuovo: la poesia non è cosa per tutti. Né lo è mai stata.La poesia non è cosa da tutti perché non scalpita. La poesia è poesia perché sussurra. Non sbraita. Ma c’è. La poesia parla, ancora. Anche se non si proclama a gran voce la morte di Andrea Zanzotto, questa è avvenuta, silenziosa come un verso, neanche sei mesi fa. Ma questo grandissimo poeta italiano decisamente dei giorni nostri è “ancora qui. Lo riconosco” pronto a farsi leggere, apprezzare, amare da chiunque lo voglia, da “gli altri nell’incorposa / increante libertà.” (L’attimo fuggente, Andrea Zanzotto)Altro errore evitabile è considerare poeta soltanto chi lo fa per professione, chi mangia con i propri versi. Queste fortunate persone sono poche: come lo sono sempre state: anche Petrarca faceva il funzionario di corte.Non solo chi viene pubblicato fa poesia: la poesia c’è nei files dei computer dei più insospettabili aspiranti scrittori, oppure piegata in un foglio dentro un’agenda che si porta sempre appresso, con qualche parola d’amore scritta da una persona per un’altra persona soltanto. La poesia c’è nell’email di incoraggiamento che si manda a qualcuno che deve sostenere una prova importane. È qualcosa che anche se non si pubblica su Facebook esiste, magari nel vicino di banco, o nel “tipetto strano” con gli occhiali della terza classe.La poesia c’è per chi l’ascolta, anche se alla poesia, malinconica per antonomasia, piace dire di se stessa “Prosaica, la mia discesa agli inferi / è appena cominciata, immemore / di stelle, malsicura / di rivederne ancora”. Sono sicura che c’è e ci sarà sempre, anche tra gli iscritti a Facebook, qualcuno pronto a non permettere che questi versi si avverino.

Annalisa Chiodetti

83310cookie-checkPoesia canaglia