Prato: un’emozione unica

Tempo di lettura: 8 min

Primo giorno

Partenza per Prato il 13 marzo alle 8:18. Primo scalo, Bologna. Un’emozione unica. Anche se siamo felici per aver saltato l’interrogazione della Gavinelli, siamo preoccupati per i nostri corrispondenti. Come saranno? Oppure non ci saranno neanche e una volta arrivati, scopriremo che ci hanno teso una trappola? Il dubbio resta. Intanto ci sediamo comodamente sui sedili del treno scrivendo questo diario di bordo e facendoci trasportare dalla musica. Siamo arrivati sani e salvi a Prato. Siamo tutti vivi. Oppure siamo tutti morti. Intanto nessuna trappola. Le corrispondenti ci sono. C’è anche la pioggia che scende incessante sui nostri ombrelli. Purtroppo anche sul mio che è rotto, ma sembra che l’acqua non voglia darci tregua. Il Convitto Cicognini ci ospita per un veloce pranzo in una mensa che assomiglia ad una copia della Cappella Sistina. Gli affreschi dominano la sala. Magari li hanno dipinti apposta per impressionarci. Chi lo sa. Notiamo subito alcune differenze con il nostro: l’Umberto I è più bello. Modestia a parte il Cicognini assomiglia più ad una reggia. Noi siamo rimasti ancora alle sedie di plastica e ai coltelli che non tagliano neanche la crescenza. Dovete ammettere che si adattano meglio alla crisi. Inoltre da noi i meravigliosi affreschi vengono rimpiazzati dalle bellissime pareti blu e bianche (stile ospedale) e dalle sbarre alle finestre, con tanto di lucchetto per contenere anche gli alunni più ribelli. Cogliere l’attimo triste della scena seguente non è così difficile e per me che sono una pessimista cronica è più facile che bere un bicchier d’acqua. Eravamo quarantadue persone ammucchiate in una classe grande la metà delle aule standard del nostro Convitto. Riuscivamo a malapena a respirare. Avete mai provato a stare in quarantadue in una classe in cui stanno comodi 15 studenti? Non ve lo auguro.
Anche perché i ragazzi di tutt’Italia sono uguali. Da Torino a Prato, da Venezia a Cagliari hanno un solo pensiero: fare casino. Più casino possibile. Capite ora la tristezza e il mal di testa in quell’attimo.
Forse, però, la cosa più triste è girare la ridente località di Prato con la pioggia. Soprattutto se hai gli stivali bagnati e l’ombrello rotto che non ripara. Sono quei momenti che ti restano impressi: tu, sotto la pioggia, fradicia dalla testa ai piedi, che cerchi di aggiustare, insieme ad un’amica, il tuo ombrello rotto che vi “ripara” entrambe. Intanto ci sono i compagni pratesi che fanno da guida del luogo perfettamente asciutti. Un’emozione ancora più unica dello scalo a Bologna.
I momenti tristi si sono dileguati con l’arrivo della nostra corrispondente (una ragazza ci ospita in due) appena atterrata da New York. Almeno è già un buon segno!
È bello scambiare informazioni con un’altra ragazza di un altro Convitto. Ma è soprattutto bello sparlare dei prof e dei loro metodi di insegnamento. Una rivincita contro tutti quei momenti di scuola che vorresti cancellare perché i prof ti hanno umiliato o perché ti hanno fatto un grave torto e non puoi replicare.
La notizia del fumo bianco dal camino del Consiglio del Vaticano ha emozionato ancora una volta la nostra esistenza, già turbata da continue sensazioni che si formano venendo a contatto con il mondo esterno. La notte, però, arriva per tutti e cala sulle nostre teste inesorabilmente. Ora, infatti, credo che mi abbandonerò nelle braccia di Morfeo.

Secondo giorno

La giornata inizia con una buona notizia: la pioggia ha deciso di darci tregua in questo giovedì di marzo. Sospiro di sollievo. Nessuno sa come impiegheremo questa giornata: ognuno di noi ha l’incertezza del domani e dobbiamo farcene una ragione. Sarà una sorpresa. Arriviamo a scuola alle 8 e salutiamo tutti i compagni. Siamo tutti felici e contenti, come in una favola per bambini. Ma noi, per fortuna, il finale lo vedremo fra un po’ di giorni. Ci dirigiamo come bisonti verso il museo dell’Opera del Duomo. Sarebbe perfetto se ci dessero un cuscino e una coperta. Scherzi a parte, la visita guidata è un po’ noiosa ed in più abbiamo un po’ di sonno arretrato che non aiuta. Ci risvegliamo definitivamente nel laboratorio di scultura. Se provate a scolpire una foglia, o il vostro nome, o una foglia pesce o che so io, vi accorgerete che non è per niente facile. Se poi scolpite con altre due persone che sono negate quanto voi, avrete un’esperienza esilarante. Risate assicurate. Poi ritorniamo al Convitto per un altro pranzo “regale”. Prossima tappa: museo del tessuto. Un altro laboratorio in programma di cui non sappiamo niente. Speriamo che non si debba scolpire un vestito. Se no, sarei messa male. Per fortuna no. Dobbiamo, invece, creare un outfit per J. Lo per un party a Firenze. Il coordinato dev’essere adattato agli anni ’70. Una domanda sorge spontanea: perché tutte le volte che dobbiamo fare un laboratorio i prof ci danno consegne così stupide, inusuali, irreali, eccetera? Potrebbero almeno cercare di dare un senso logico ai compiti inutili che ci affibbiano.
La mostra sul vintage è carina. La guida è una di quelle poche guide che cerca di farti apprezzare il museo che ti sta facendo visitare senza farti rimuginare di non aver portato un cuscino. E ci riesce. O almeno parlo personalmente. La stanchezza, però, ha degenerato. Infatti passiamo un pomeriggio inutile sdraiate sul divano a vedere la televisione. Un pomeriggio che si adatta alle nostre inutili vite. Sembra strano che siano passate altre 24 ore. Chiudendo gli occhi penso all’andamento di questa giornata. Fortunatamente siamo tutti vivi, ma potremmo morire presto.

Terzo giorno

Dopo il buio della notte ritorna la luce dell’alba per incominciare un nuovo giorno. Così, come tutti, anche quest’oggi è iniziato. Dopo le solite azioni quotidiane ci siamo trovati in stazione. No, non torniamo ancora a casa. Oggi tocca a Firenze, che come Prato è un’emozione unica. Saliamo subito sul treno. “Subito” si fa per dire, perché abbiamo aspettato mezz’ora i prof. Pazienza.
Iniziamo subito “il tour de force”. Firenze ha fascino e tutti ce ne accorgiamo. Quindi passiamo la mattinata fra S. Maria Novella, Duomo, Battistero e Palazzo Vecchio con rispettive visite guidate. In seguito alle visite, un’altra sorpresa: dobbiamo fare un laboratorio. Non so cosa aspettarmi. Dopo sculture e outfit manca solo il corso: “Come allevare un pitone parlante in 10 mosse”. Il laboratorio di quest’oggi si avvicina: niente pitoni, cobra o animali pericolosi, dobbiamo solo andare indietro nel tempo. Peccato. Ho la macchina del tempo parcheggiata a Torino.
Lo scopo di questo viaggio è di incontrare la duchessa Eleonora di Toledo. L’incontro è, come dire, particolare: diciamo che non ti capita tutti i giorni di entrare in una sala con un’attrice travestita da duchessa, con vestito d’epoca ed espressioni tipiche come “Di grazia” o “Don” o “Niuno” o “Gli è giusto”. Tutto arricchito con un’autostima tale da darsi del “noi”. Quest’attrice deve avere una crisi psicologica ed economica abbastanza consistente per fare ciò. Ma alla fine del tunnel della mattinata vediamo uno spiraglio di luce: la pausa pranzo, l’unico momento in cui possiamo rilassarci senza che i prof prendano il frustino. Ma qui di normale c’è ben poco e l’unica ora “tranquilla” si trasforma in un’ora debita per girare la città. Divisi in due gruppi partiamo per passare la nostra “ora d’aria” a passeggiare per le pittoresche vie di Firenze. Ma cos’è un bel giro senza una perdita? La spaesata di turno ovviamente è la sottoscritta. Volevo unirmi all’altro gruppo e, nel rifare la strada al contrario, mi sono persa. Non mi sono neanche portata una pagnotta di pane come Pollicino. O meglio, il pane me lo sono mangiato: avevo troppa fame. Senza pagnotta e senza cartina mi avventuro per le vie di Firenze . Fra turisti e flash delle macchine fotografiche cerco di ripercorrere la strada dell’andata, ma con scarsi risultati. La mia salvezza si è riposta nel telefonino, mezzo di comunicazione con cui ho sentito la mia corrispondente che mi è venuta a prendere. Questi sì che sono bei momenti di vita! Dopo la figura che mi sono fatta, dovrei prendere un po’ di fosforo per aiutare la mia memoria. Il pomeriggio lo passiamo a Santa Croce , fra le tombe dei personaggi illustri. Che tristezza vedere così tanti morti che, però, rimarranno per sempre immortali. Noi, invece, moriremo e basta. Poi torniamo a casa, stanchi morti e coi piedi doloranti. Di corsa mi faccio una doccia e poi torniamo a scuola, per la cena di fine scambio. Diciamo che è come un’ultima cena. Per fortuna non siamo in tredici. Solito pranzo, anzi, cena, alla mensa. Mi mancherà quest’atmosfera. Presto torneremo nella nostra mensa. Sempre se è ancora in piedi. L’ora seguente si rivela frenetica: vogliamo organizzarci per passare il resto della serata insieme. I Pratesi si dividono i tre gruppi: gruppo pub (attività: bere e… boh?), gruppo “Caffè 21″(attività: noia intermediata da qualche parola scambiata) e gruppo cinema horror (attività: andare al cinema pagando il biglietto per non vedere il film talmente fa paura (puro masochismo). Noi, da bravi corrispondenti, dobbiamo seguire i Pratesi, anche se non ne abbiamo voglia. Più che uno scambio si sta trasformando in una convivenza forzata. Certi miei compagni torinesi stanno organizzando un piano d’attacco stile faida: “Quando loro verranno a Torino, decideremo noi e solo noi! Ah, ah, ah!” dicono. Sempre se ci torniamo, a Torino. Credo che ognuno di noi stia facendo il conto alla rovescia per tornare. Un giorno, 16 ore, 2 minuti e 17 secondi. 16. 15. Eccetera. Sempre se il mio orologio è in orario. Alla fine decidiamo di tornare a casa. Sospiro di sollievo. Anche oggi è finito. Manca un giorno, 14 ore, 29 minuti e 52 secondi. 51 50 49…

Quarto giorno

Anche quest’oggi mi alzo. Niente orari, posso dormire quanto voglio. Libertà! No, niente libertà. Bisogna seguire le abitudini dei corrispondenti, compresa l’ora in cui si svegliano. Insomma, mi sveglio. Alle 9:30. Silenzio. Sono l’unica sveglia. Cerco di riaddormentarmi. Mi rigiro nel letto. Ma niente. Il sonno non vuole abbracciarmi. Alla fine ci rinuncio. Inizio a pensare: 1- Prato. Sorvoliamo. 2- Scuola. Per carità. 3- Cosa posso fare prima che loro si sveglino? Bella domanda. Passo in rassegna tutti i passatempi adatti, ma non posso accendere la luce. Mi rimane solo pensare. E guardare costantemente l’orologio. Poi, finalmente, quando la ragione e la speranza mi stavano per abbandonare (o forse la prima mi aveva già abbandonato da tempo) sento un rumore. Si sono svegliate. Da lì inizia una crisi esistenziale: “Cosa facciamo oggi?” Alla fine optiamo per il centro commerciale. Io intanto sto delirando dalla fame. Ormai è già l’una. Le facce delle persone si stanno via via trasformando in qualche cibaria. Le sto per addentare. A quel punto mi viene in aiuto un attraente panino del Mc Donald (o è la faccia di qualche persona?). Sono indecisa se mangiarlo (non voglio rischiare il carcere minorile o intossicazione alimentare), ma alla fine mi ci avvento sopra e constato che è veramente un panino. Speriamo che non mi intossichi, perché, magari, nei cestelli del Mc Donald ci è caduto un po’ di cianuro. Se così fosse solo io me ne accorgerei. E il giornale locale il giorno dopo. A pancia piena iniziamo a girare per i negozi, fra vestiti, colori e soprattutto persone. Troppa gente. Comunque è un’emozione unica, come tutto ormai. Poi ritorniamo a casa e ci sediamo sul divano. La nostra corrispondente deve imparare una canzone. Fra breve avrà un provino. Tra qualche anno diventerà una cantante famosa. Wow. Dovrei chiederle l’autografo per poi venderlo su e-bay. Quindi dobbiamo attendere. Guardando un film in televisione. Fra una battuta e l’altra, però, inizio a pensare alla festa di stasera. Infatti oggi dobbiamo andare ad un compleanno che non si poteva rinviare. Come sarà? Spero non sia noiosa, ho già dato. Alla fine del film inizia il monologo di Giorgia: “Ila, secondo te posso venire alla festa così? Non voglio fare brutta figura! E se poi sono tutti eleganti? Ma io non ho portato vestiti da sera! E se poi mi prendono in giro?”. Respiro. Prima che riprenda le rispondo: “Sì, Giorgia, va bene. Neanche li conosci!” Pausa. Tregua. Poi riprende:” Ma sei sicura? E se poi sono tutti eleganti? Ma io non…” A quel punto raggiungo il limite di pazienza (lo so, è molto basso), ma lei continua. Sembra di sentire tanti “bla, bla, bla” sovrapposti. Le urlo di non rompere e di mettersi quello che le pare. Silenzio. Pace. Tranquillità. Sono passati 10 secondi senza che abbia detto niente. Mi butto vittoriosa sul letto. Dopo i preparativi siamo pronti a partire. Appena arrivate vedo il luogo della festa e noto anche un’altra mia amica. Almeno non siamo sole. Anche se sono tutte persone che non conosco mi diverto. Anche solo con le mie amiche. Ma mi diverto ancora di più quando inizia il karaoke e cantiamo tutti insieme a squarciagola. Penso che in fondo questo scambio non è tanto male. E la serata passa. È il tempo che sovrasta tutti noi. Continua a scorrere ininterrottamente.

Quinto giorno

Felicità. Tristezza. Nostalgia. Rimpianto. Ormai stiamo per tornare, anzi, stiamo tornando. Il treno ci culla in un noioso viaggio verso il ritorno. Tante attività ci occupano la mente: disegnare, ascoltare la musica, chiacchierare, scrivere (no, scrivere solo io). Queste sono le più banali. Ci sono compagni che hanno aperto un casinò e stanno giocando a 7 ½ . Hanno già un grosso senso per gli affari. C’è poi chi fa una gara di indovinelli impossibili da risolvere. E chi li riesce a risolvere con strani oggetti elettronici (tablet, telefoni, eccetera). Insomma, stiamo viaggiando. Torniamo alla nostra vita, alla nostra realtà. E alle interrogazioni della Gavinelli.

Ilaria Gallo Rosso (1B)

104400cookie-checkPrato: un’emozione unica