Qualche domanda a Francesco Profumo

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I nostri inviati con il Rettore del Politecnico

I nostri inviati con il Rettore del Politecnico

 

In occasione dell’autogestione il Rettore del Politecnico Francesco Profumo ha tenuto una conferenza sulla realtà universitaria del suo istituto e sul rapporto Liceo-Università. Terminato l’incontro, la Redazione dell’UmberTimes si è riservata alcuni minuti per una breve intervista; e così, nell’Aula Magna ormai vuota …

 

 

 

 

 

Sabato 06/03 si è tenuto presso il Politecnico il 17° convegno interregionale della stampa studentesca, e la nostra redazione ha partecipato all’incontro, assistendo anche al suo discorso di benvenuto. In questa presentazione, lei ha parlato di una connessione che deve esserci fra il liceo e l’università: in concreto, di cosa si tratterebbe?

 

Credo che ci debba essere una connessione attraverso le procedure dell’orientamento. Perché uno degli elementi che caratterizza molto le scelte degli studenti è una non consapevolezza, una non conoscenza di quelle che sono le caratteristiche dell’università, che cosa richiede l’università e quindi molte volte trovano delle difficoltà da questo punto di vista. Io credo che sia necessario che ci sia questo ponte tra la scuola superiore e l’università in modo da proferire agli studenti questi elementi ed eventualmente anticipare il test attitudinale al quarto anno, in modo che ci sia una consapevolezza di quelli che sono i requisiti minimi per poter seguire con successo un corso di architettura o ingegneria. Inoltre bisognerebbe mettere a disposizione degli studenti degli strumenti con i quali possano rafforzarsi in quei campi in cui vi sono delle carenze.

 

Lei considera il percorso di laurea elitario già nella fase di iscrizione all’università o è il percorso di preparazione stesso che seleziona chi è più portato a continuare degli studi approfonditi fino al raggiungimento del titolo di studio?

 

La nostra esperienza e quella aggregata alla situazione italiana consiglia di non puntare troppo sul “numero chiuso” ma di creare un percorso di selezione durante il primo anno; noi stiamo lavorando perché le persone che non raggiungono determinati obbiettivi nel primo anno, invece di riportare nel tempo questo loro ritardo eventualmente ripercorrano il percorso seguito, si rafforzino e poi continuino con una maggiore robustezza. Questa è una modalità per esempio seguita molto dagli svizzeri, in alcuni caso dai tedeschi. Anche perché non tutti gli studenti hanno lo stesso livello di maturità, all’età anagrafica in alcuni casi non corrisponde una età di maturità adeguata.

 

Lei conoscerà gli altri sistemi scolastici, soprattutto quello svedese o inglese; in questi sistemi viene lasciata allo studente molta più libertà nel seguire un proprio percorso di studi fin da subito. Non pensa che questo aiuti a responsabilizzare di più l’alunno e a dargli mano a mano un po’ di libertà, al contrario di quanto avviene in Italia, dove lo studente passa dal liceo (percorso guidato) all’università (libera gestione)?

 

Il sistema universitario italiano è un sistema che non ha posto al centro lo studente. Credo che si debba pensare ad una diversificazione anche profonda  nella modalità di insegnamento tra il primo livello di laurea ed il secondo livello. Nel primo livello di laurea ci vuole un maggiore tutoraggio, ci vuole un maggiore rapporto tra  docente e studenti e bisogna aiutare gli allievi a maturare, soprattutto nella gestione della propria libertà. Nel secondo livello di laurea credo invece che ci voglia una maggiore partecipazione attiva degli studenti, il che significa che i nostri semestri dovranno essere riorganizzati su progetti a cui partecipano  più allievi, grazie ai quali questi ultimi imparano a lavorare insieme, a decidere, a conoscere la loro futura vita lavorativa.

 

Parlando delle tecnologie e dei nuovi sistemi di comunicazione fra insegnanti e alunni che permettono un maggiore accesso alle lezioni in caso di assenze, tagliare i rapporti umani fra insegnante e studente non danneggia quella passione diretta che il docente trasmette insegnando direttamente alla propria classe?

 

Io non credo che la tecnologia debba sostituire quel rapporto docente – studente, ma debba aiutarlo. Quindi bisogna pensare ad un mix di forme di erogazione. Alcune lezioni saranno certamente improntate sulla personalità e sulla partecipazione del docente, altre saranno più tecniche ed informative e queste ultime, attraverso gli strumenti multimediali che abbiamo oggi saranno sicuramente più interessanti. Non credo sia opportuno andare verso un sistema di sole tecnologie, ci vuole una complementarietà tra le diverse forme, anche perché il mondo sta cambiando così velocemente che è difficile oggi prevedere cosa ci sarà fra due o tre anni, oggi le prospettive sono di grandissimo interesse. Bisogna però che ci sia questa consapevolezza: i ragazzi che stanno arrivando all’università sono nativi Internet e hanno questa capacità di stare in rete, ma vanno motivati attraverso il rapporto umano. Parte della lezione consisterà in una relazione e in un dialogo diretto con gli studenti riguardo i loro interessi, i loro problemi, i dubbi e un’altra parte, più tecnica, potrà essere lasciata ad altri mezzi. Un’integrazione.

 

Lei che studente era al liceo, qual è stata la sua esperienza?

 

Io ho fatto un liceo in una città piccola, relativamente ridotto. Ero un bravo studente, molto curioso, con una gran voglia di conoscere. Ho sempre partecipato molto alla vita studentesca e ho sempre cercato di avere una parte attiva nella mia vita professionale (ho fatto il Preside, prima di diventare Rettore). Credo che tutto ciò sia frutto di un percorso.

Sono molto istituzionale: sono molto legato e credo nell’università pubblica e non credo che valga di meno da un punto di vista qualitativo rispetto all’ università privata. Ho fatto molte esperienze all’estero, ho vissuto per un certo numero di anni negli Stati Uniti ho una vita accademica ridotta perché ho lavorato per un certo numero di anni in azienda, quindi sono un po’ anomalo come Rettore e credo di riportare molte delle mie precedenti esperienze nella mia attività. Ho vissuto anche un anno in Giappone, ho tre figli, sono sempre venuti con noi,  una è architetto a New York, uno si è laureato in economia a Londra e lavora in Cina.

 

La scuola ovviamente deve cambiare, dovendo insegnare ai propri studenti a vivere in una società in continua evoluzione; ma quali sono quei valori, insiti nell’istituzione stessa, che la scuola non può assolutamente perdere e deve continuare a trasmettere?

 

Io dico spesso che una scuola come la nostra ha come primo obbiettivo quello di creare dei buoni cittadini e delle buone cittadine, e poi è un dovere creare anche dei buoni architetti e dei buoni ingegneri. Credo che questo sia il tema che il paese deve affrontare: alcuni dei valori, stanno andando dimenticati, lo si vede nella politica, negli eventi di questi ultimi giorni. Io credo che la scuola dare un segnale forte, riguardo soprattutto il rispetto delle regole, dell’etica, la capacità di integrare persone differenti. Solo la scuola può fare queste cose, perché in fondo uno poi nella vita applica quello che ha imparato a scuola che, si assume una responsabilità maggiore rispetto al passato. La famiglia, le parrocchie, i partiti una volta aveva anche questa funzione, oggi sono venuti un po’ meno. E’ necessario di conseguenza instaurare un dialogo più forte e diretto con gli studenti, stare un po’ meno in cattedra e un po’ di più fra di loro.

 

Eugenia Beccalli e Nicolò Patanè (3F)

 

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