“In considerazione che il nostro potere imperiale è terreno, noi decretiamo che si debba venerare e onorare la nostra santissima Chiesa Romana e che il Sacro Vescovado del santo Pietro debba essere gloriosamente esaltato sopra il nostro Impero e trono terreno. Il vescovo di Roma deve regnare sopra le quattro principali sedi, Antiochia, Alessandria, Costantinopoli e Gerusalemme, e sopra tutte le chiese di Dio nel mondo. Finalmente noi diamo a Silvestro, Papa universale, il nostro palazzo e tutte le province, palazzi e distretti della città di Roma e dell’Italia e delle regioni occidentali.”
Questo è l’inizio della cosiddetta Donazione di Costantino, datata 30 marzo 315 e conservata in copia nei Decretali dello Pseudo-Isidoro, redatti nel IX secolo. In apparenza si tratterebbe di un editto emanato dall’imperatore Costantino, che conterrebbe le concessioni fatte da questo alla Chiesa e, di conseguenza, giustificherebbe la nascita del potere temporale dei papi. Nel XV secolo, grazie agli studi dell’umanista Lorenzo Valla, fu possibile dimostrare la falsità di questo documento, da secoli usato dalla Chiesa per legittimare la propria posizione. Ma procediamo per gradi, partendo dalle cause e dalle motivazioni che hanno portato la Chiesa a produrre un falso di così grande portata.
La Donazione venne probabilmente scritta a Roma o a Saint-Denis (non lontano da Parigi) tra il 750 e l’850. L’editto sarebbe quindi stato redatto in un periodo in cui la Chiesa, soprattutto dopo la Donazione di Sutri del 724, cosciente del proprio potere spirituale e degli effetti di questo su quello temporale, stava tentando di affermarsi come potenza di primo piano sullo scacchiere europeo. Era questo un obiettivo tale da giustificare la creazione di un documento falso? Evidentemente sì, dato che alla fine dell’età carolingia i possedimenti papali erano ormai estesi a buona parte del Lazio, della Toscana e della Romagna. E il perché appare ancora più chiaro se si pensa a Carlo Magno, incoronato imperatore d’Occidente da papa Leone III la notte di Natale dell’800 e alla conseguente nascita del Sacro Romano Impero. In fondo, il nome stesso dello Stato “nato” in quell’occasione, in cui l’aggettivo “sacro” precede il resto, non lascia forse intendere come il vescovo di Roma tentasse già di rendere l’imperatore un suo sottoposto ponendo l’Impero sotto la propria autorità? Sarebbe stato questo il momento, secondo gli storici, in cui più verosimilmente il pontefice decise di tutelarsi creando un documento che lo avrebbe reso arbitro dell’Impero, arginando così la libertà d’azione degli imperatori che in futuro avessero tentato di dichiararsi tali senza una “conferma” papale. Tutto molto chiaro, e verrebbe da dire addirittura facile, se non fosse che gli imperatori iniziarono presto a considerare il loro potere frutto della volontà diretta di Dio e dunque inutile l’intermediazione del papa. Quando la situazione esplose, intorno all’XI secolo, l’intero mondo cristiano ne pagò le conseguenze. Lotta per le investiture, lotte tra guelfi e ghibellini e confronti tra papi e antipapi sconvolsero l’Europa per mezzo secolo. E stranamente durante questo periodo la Donazione venne sostanzialmente ignorata, tornando a circolare solo nel Duecento. Da questo momento e fino al 1440, anno in cui Valla ne dimostrò la falsità, saranno molti gli intellettuali che commenteranno il documento, fornendone la propria interpretazione. Interessante è l’opinione di Dante espressa nel De monarchia: pur non dubitando della veridicità dell’atto il sommo poeta dimostra come, a causa di una serie di irregolarità legali, Costantino non avrebbe avuto il diritto di donare parti del suo impero alla Chiesa e come questa non avrebbe dovuto e potuto accettarle.
Ma la vera svolta arriva nel XV secolo, con l’umanista Lorenzo Valla, il quale, studiando il documento da un punto di vista storico-filologico, fu capace di presentare prove talmente inconfutabili da palesare a chiunque la falsità della Donazione. Riportiamo alcuni dei punti cardine della teoria del Valla: la presenza di un latino contenente numerosi barbarismi e quindi posteriore a quello del IV secolo; la menzione di Costantinopoli, la cui fondazione avvenne circa quindici anni dopo la stesura del documento; infine l’uso di parole che non potevano esistere nel 315 d.C. (nel testo appare la parola “feudo”). Valla raccolse i risultati dei suoi studi nel 1440 nell’opera De falso credita et ementita Constantini donatione (Sulla Donazione di Costantino falsamente attribuita e falsificata), che poté essere pubblicata solo nel 1517. Quarantadue anni dopo, nel 1559, la Chiesa la inserì nell’indice dei libri proibiti in quanto pericolosa per la fede, continuando per secoli a professare la veridicità dell’editto. Sebbene la Chiesa non rivendichi più tutti i territori della presunta Donazione costantiniana, tuttavia – almeno a conoscenza di chi scrive – lo Stato Vaticano non ha mai pubblicamente ammesso la falsità del Constitutum Constantini.
Jacopo Lupieri