Yuli si sveglia. Apre gli occhi e vede il muro avvicinarsi sempre di più,sempre di più, sempre di più… Afferra il braccio di Lintang proprio nell’istante in cui il fondo del letto tocca la parete e si solleva. Yuli cade tra il letto e il muro, le piovono addosso calcinacci e frammenti di mattoni e non vede più Lintang, dov’é Lintang, dov’é la sua Stella, dov’é…
Le due brande che compongono il letto si sono separate per l’urto, e Yuli può vedere la parete di fronte che si piega in due come fosse di vetro, si spacca e fa cadere l’armadio e il comodino.
Poi non vede più nulla.
Chissà quanti indonesiani come Yuli hanno visto la propria casa crollare come un castello di carte, e con essa tutta una vita di sacrifici per arrivare a possederla, quella casa.
Probabilmente dentro alla casa sono rimasti figli, fratelli, mogli e genitori, affetti di cui centinaia di persone sono state private.
Il terremoto che si è abbattuto sull’Indonesia alle cinque e sedici minuti di Mercoledì 30 Settembre è stato l’ennesima dimostrazione della potenza devastatrice della natura: ha ucciso più di settecentocinquanta persone e migliaia sono i dispersi che giacciono ancora oggi sotto le macerie.
Detto in termini scientifici non suona poi così terrificante: un sisma di magnitudo 7.6 ha colpito la città di Padang, sulla costa occidentale dell’isola di Sumatra, in Indonesia.
Impersonale. Crudelmente giornalistico.
Diventa sconvolgente quando si pensa che sulla Terra ci sono settecentocinquanta persone in meno, che le famiglie delle vittime probabilmente ancora non credono a ciò che è successo, che da un giorno all’altro molti bambini si sono ritrovati senza genitori, senza più il luogo dove avevano vissuto fino ad allora, senza buona parte di ciò che costituiva i loro ricordi.
Sono arrivati gli aiuti del governo, è arrivato il team di Medici Senza Frontiere con la sua infermiera, il suo coordinatore, il suo psicologo e tutti i beni di prima necessità: coperte, taniche di plastica per l’acqua, cibo, medicinali…
Ma c’è qualcosa che nessuna dottoressa, neanche se armata della più forte volontà di auto cancellazione in favore degli altri, può portare. Cosa risponderà alla domanda dov’è la mia mamma, la mia sorellina, che prima o poi un bambino sopravvissuto le porrà?
Risponderà? Forse fingerà di non aver sentito o di non aver capito. E poi si dedicherà a curare l’infezione da acqua inquinata e il braccino rotto dal crollo di una parete.
E che dire di quelle zone in cui i soccorsi non sono ancora arrivati, dopo due settimane dalla catastrofe? Dove le strade sono crollate senza lasciare agli abitanti delle zone colpite nessun modo per raggiungere gli ospedali da campo che MSF ha istituito dove è stato possibile?
Questo è successo nella zona collinare di Padang Alai, quartiere di una delle città, Padang, più colpite in assoluto dal sisma.
Lui del resto ha avvertito.
Alle sei e quarantotto di Martedì 29 Settembre un terremoto di magnitudo 8.3 ha fatto tremare le intere isole Samoa e le Samoa americane.
Anche qui, sempre la stessa trafila di crolli, morti, dispersi.
E cosa fare,cosa fare quando si legge di morti nei confronti delle quali ci si sente davvero impotenti? Un’impotenza vera, forte, che in mancanza di istinti più nobili ci fa voltare la testa dall’altra parte per non sentire più l’eco della tragedia che ci chiama in causa perché responsabili di aver abbandonato persone come noi al loro destino.
Il terremoto in Indonesia, le alluvioni nelle Filippine e tutti gli altri distruttivi fenomeni naturali vorrebbero porre un freno ai nostri deliri di onnipotenza, ma noi che siamo in tutt’altra parte del mondo non cogliamo il messaggio e costruiamo, inventiamo,rinchiudiamo nello schermo di un computer tutto ciò che accade e scriviamo: un sisma di magnitudo 7.6 ha colpito la città di Padang, sulla costa occidentale dell’isola di Sumatra, in Indonesia…
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Chiara Murgia (1C)