Quando non sappiamo fronteggiare l’ospite inquietante che bussa alla nostra porta

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Nel mese di febbraio gli studenti del nostro istituto hanno organizzato tre giornate di autogestione, caratterizzate da una serie di conferenze riguardanti diverse tematiche: tre giornate per discutere, ascoltare e pensare rispettivamente alla società, alla politica e alla cultura. Proprio durante l’ultima giornata la prof.ssa Iannone, docente di Storia e Filosofia presso il nostro liceo, ha tenuto una conferenza sul nichilismo e i giovani, prendendo spunto dal libro di Umberto Galimberti “L’ospite inquietante – il nichilismo e i giovani”.

Nell’opera edita da Feltrinelli, l’autore sostiene che la maggior parte dei giovani oggi soffra e, intelligentemente, indaga sulle cause di tale malessere, partendo proprio dalle conseguenze che esso provoca, ispirandosi alla cronaca attuale. La ragione di questo disagio, secondo il parere del filosofo lombardo che riprende il pensiero di Friedrich Nietzsche, è dovuto al fatto che proprio i giovani non sappiano guardare in faccia l’ospite inquietante che risiede dentro ognuno di noi, ovvero il nichilismo, sovvertimento e caduta dei valori tradizionali.

La tesi di Galimberti trae sicuramente spunto dall’opera di Benasayag e Schmidt, intitolata “L’epoca delle passioni tristi”, nella quale i due filosofi si rifanno a Spinoza e sostengono la mortificazione delle nostre passioni ad opera non del mero dolore, bensì di una disgregazione del senso dell’esistenza. La nostra infatti è una società della tecnica, che in quanto tale non apre significati di senso, non tende ad uno scopo ma, semplicemente, si preoccupa di funzionare. Oggi manca all’uomo l’abitudine alla ricerca del senso ultimo delle cose e, tutto ciò, ci costringe ad un’esistenza superficiale. Un’esistenza superficiale ma produttiva: molto spesso infatti, provoca tra i giovani uno stato di afasia sentimentale per la quale i sentimenti son privi di sfumature e si cristallizzano in un atteggiamento di apparente imperturbabilità, così i giovani si avvitano su se stessi e, accasciandosi, si appiattiscono e non mostrano più picchi d’emozioni. Per colmare i vuoti esistenziali di questa società liquida, priva di criteri stabili di moralità e di verità, i giovani tendono ad uniformarsi partecipando ai riti collettivi della moda, della droga, dell’alcool e della trasgressione estrema in genere.

Scomparsi quegli ideali ritenuti eterni, ergo la famiglia, la religione, la patria, i ragazzi guardano in faccia l’esistenza e si esprimono con una forma d’ottimismo fasullo ed egocentrico, per il quale tutte le scelte posson esser revocate, dall’identità personale a quella sessuale, dal percorso di studi a quello lavorativo: i diritti crescono dunque senza radici e perdono il senso del limite e del loro costo in termini di dovere.

La sfera più intima dell’essere umano, non essendo più sondata, non ha più ragion d’essere e pertanto si tende ormai a pubblicizzarla: per sentirsi riconosciuti come individui oggi è necessario apparire, e i diffusi reality shows ne sono la conferma.

Ma in conclusione, esiste una soluzione per uscire da questa terribile impasse? Galimberti sostiene anzitutto che bisogna considerare questa crisi non esistenziale ma culturale e che, per uscirne, i giovani vadano aiutati a scoprire e a coltivare le loro virtù. È indispensabile che imparino ad entrare in contatto con le proprie emozioni e che sappiano sondare l’affettività, affinché possano finalmente innamorarsi di se stessi. Ma questo processo è frutto di un lavoro che si fa in concertazione, insieme con gli adulti: l’educazione oggi non può prescindere dalla promozione di un progetto di sé.

 

Stefano Castello (5D) e Sonia Esposito

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