Lo sciame di quarantamila cavallette procedeva come una valanga di acido corrosivo.
Il suolo veniva scorticato fino all’osso e la sua polpa dilaniata senza un vero appetito.
C’era solo desiderio di avanzare e avanzare e prosciugare e ricoprire ogni cosa lo sciame avesse trovato sul suo cammino.
Niente riusciva a sbarrargli la strada, gli scienziati erano ciechi e impotenti, non riuscivano neppure a capire da dove potessero essere spuntate fuori tutte quelle stramaledette cavallette.
Qualche stolto provò a sparare, ma i grassi proiettili non ce la fecero a cogliere impreparati i riflessi delle cavallette. Schivavano le pallottore, le troie. Potete anche non credermi, ma è riportato sulle cronache di tutti i giornali dell’epoca. E potevano vivere nel fuoco di una stufa.
Un giorno un tizio geniale inventa e mette a punto uno spray in grado di fare breccia nei loro linfociti-scudo.
Quel tizio geniale sono io. Chiamai lo spray “il Trimòrcickòn sbrugabszt”.
Il governo me lo lasciò testare di persona, anche perchè l’onore di ritrovarsi il culo masticato da branchi di cavallette onnivore non lo stuzzicava.
Così stavo lì: in agguato.
Sapevo che in quella zona, ormai già evaquata e messa in quarantena, erano state avvistate le retroguardie dello sciame. Non potevano essercene troppe, il più di loro si stava già dirigendo verso nuovi pascoli e carni da suggere. Indietro restavano solo le più pigre.
Ecco, ne scorsi facilmente una, poggiata su una mezza ciambella, gonfia e lenta, la più golosa. La classica che dopo aver finito il ghiacciolo s’ingoia pure il bastoncino. Perfetta.
Immaginate:
Mi avvicino, col governo che mi tiene d’occhio a una decina di metri di distanza, al riparo nel suo bunkermobile a pedali.
Il mio dito è sul grilletto, lo spruzzino è carico. Vaporizzo.
Con due colpi fertilizzo l’aria sopra la cavalletta e questa si gira, punta le antenne verso di me e muore estraendo una ridicola ma sincera risata dal fondo della gola. La risata echeggia nei gargarismi finali.
È morta, il governo sblocca le dodici serrature del ciclobunker e si avvicina con la mano tesa per congratularsi con me. Questo è il primo passo verso la fine del mondo?
Di botto, tutte le quarantamila cavallette ci sono addosso.
In qualche modo, sapevano che una di loro doveva esser stata uccisa ed erano accorse a cavallo dei fulmini.
Il governo strilla di terrore, io, contenuto, mi cago più dignitosamente addosso.
Le cavallette ci ronzano attorno, effetto tornado, fanno due giri e poi …
Si fermano. Planano e atterrano. Sono ferme.
Io e il governo ci guardiamo. Tacciamo. Esitiamo. Ed infine iniziamo a schiacciare e pestare e tuffarci sopra quel mare di insetti rincoglioniti.
E rimasero ferme, tutto il tempo.
Mentre a centinaia e poi migliaia le sterminavamo con suole, calci, manate e pugni.
Arrivammo persino a rotolarci su di loro, come dei poppanti. E loro stavano ferme.
Ma d’improvviso, un suono. Un suono cominciò a farsi strada, con prepotenza, sorvolando il genocidio.
Un suono come un fischio squillante, un campanellino d’allarme.
Ci bloccammo, ed entrambi individuammo la fonte del trillìo.
Poco lontano, la grassa carcassa della prima cavalletta morta si era sgonfiata, sciogliendosi sopra quello che parve un piccolo fungo. Mi avvicinai. Aveva dato alla luce una spora-uovo.
Il panico mi gelò.
Con l’ultimo sforzo di acuto, la spora esplose all’istante, liberando nell’aria quarantamila cavallette nuove di pacca. Erano ancora dei fuchi, grossi poco più di mosche, ma le loro mandibole sapevano già darsi da fare.
E adesso eccomi qui, a dimenarmi come un forsennato, a ballare la salsa del torturato, mentre tutto attorno a me non faccio che vedere gusci di cavallette schiacciate, carapaci contenenti grasse spore paffute, quarantamila tombe cariche di esplosivo, e cos’è questo sibilo vibrante che si fa sempre più forte sempre più forte sempre più.
Guido Bertorelli