Quei bravi ragazzi che amano la libertà

Tempo di lettura: 3 min

Filippo De CristofaroCosa succede quando un ergastolano approfitta di un permesso premio per scappare?
Negli altri Paesi non so, ma in Italia potrebbe addirittura ricevere una possibilità per riprovarci.
Questo è ad esempio ciò che è successo a Filippo De Cristofaro, evaso di prigione per la seconda volta grazie ad una licenza indebitamente concessagli da un’autorità poco abituata a porsi domande come: “Ma non sarà mica pericoloso offrire ad un individuo del genere un’altra occasione per fuggire?”.
Dopotutto quest’uomo ha solo ucciso a colpi di machete una persona per scappare in Polinesia con la fidanzatina diciassettenne (all’epoca dei fatti, nel 1988, De Cristofaro aveva 34 anni). Condannato all’ergastolo in appello, all’assassino della skipper Annarita Curina la prigione è sempre stata un po’ stretta.
Così, quando le autorità, impietosite o forse troppo buoniste, hanno deciso di premiarlo con una licenza dal carcere milanese di Opera, l’uomo non si è fatto sfuggire l’occasione di riguadagnare la libertà che gli era stata giustamente sottratta. È infatti fuggito in Olanda per contattare l’ex moglie e la figlia, finché non è stato catturato da chi nel frattempo si era accorto che il detenuto aveva “dimenticato” di rientrare. Ma questa lezione non è bastata a chi concede indebitamente permessi a gente pericolosa o particolarmente propensa a fuggire. Infatti De Cristofaro è fuggito ancora in seguito alla seconda “vacanza premio”, stavolta dal carcere di Porto Azzurro, all’isola d’Elba.
A questo punto sorge spontanea una domanda: è più recidivo lui nelle sue fughe o chi continua a permetterglielo?
Verrebbe proprio da dire il secondo. Com’ è possibile che a delinquenti che rappresentano un serio pericolo per la società venga concesso il permesso di lasciare il carcere? Non è possibile infatti. Almeno non in un paese civile.
Tuttavia, questo non è nemmeno il caso più eclatante. Credo che se fossi in chi ha permesso a Bartolomeo Gagliano di uccidere ancora, affidandogli prima un compito di assistente sociale e poi concedendogli un permesso premio, mi verrebbe una gran voglia di fare harakiri per la vergogna. Eppure è una semplice questione di buonsenso: non si parla con gli sconosciuti, non ci si mette di spalle ai dirupi e magari non è una buona idea dare ad un serial killer tutte queste occasioni di nuocere.
In Italia, a quanto pare, abbiamo un concetto un po’ strano di giustizia: per alcuni è troppo severa, addirittura “persecutoria”, per altri pare quasi che non esista. C’è gente che passa mesi in carcere in attesa di un processo e chi ottiene immediatamente i domiciliari. È vero: i detenuti costano, le carceri sono affollate e non permettono una bella vita; ma di qui a permettere impunemente ai peggiori criminali di girare a piede libero come scolaretti in gita c’è un bel salto. Ma se uno finisce dietro le sbarre è generalmente perché lo merita. Machiavelli ci aveva anche ammoniti a proposito dell’eccessivo buonismo verso i delinquenti a scapito dell’intera società. Poi ci si chiede anche perché la gente abbia sempre paura del “mostro” e segua morbosamente gli articoli di cronaca nera. Ormai l’omicidio è diventato quasi una droga: ci terrorizza, sappiamo che ci gira attorno in gran quantità, ma non riusciamo a fare a meno di sentirne parlare. Ci siamo abituati al sangue, alle “leggende” costruite intorno agli autori dei crimini più efferati, al punto tale da non stupirci quasi più di saperli a piede libero. Salvo poi spaventarci alla notizia di un’evasione così eclatante e sperare che le autorità competenti “inizino” a fare il loro lavoro.
D’altronde, che altro bisogna aspettarsi dall’Italia dei sei mesi agli stupratori, della condizionale e dei servizi sociali in casa di riposo?

Beatrice Costa (4G)

120500cookie-checkQuei bravi ragazzi che amano la libertà