14 Dicembre – Cristiano, un ragazzo quindicenne di Roma, provoca la polizia lanciando della frutta contro le forze dell’ordine e viene colpito alla testa da un membro del servizio d’ordine del corteo di manifestanti che sfilava per le strade della capitale. Poco dopo il padre del ragazzo, ricoverato attualmente all’ospedale San Giovanni di Roma, dichiara in un’intervista al telegiornale che il figlio voleva “chiaramente” lanciare la frutta in aria senza reali intenzioni di colpire i poliziotti. Voleva lanciare la frutta in aria? Certo, era un’evidente celebrazione in onore delle mele. Parliamoci chiaro, Cristiano ha commesso un atto violento, ed è rimasto vittima della sua stessa violenza. Se meritava un naso rotto ed un ematoma cerebrale (che fortunatamente si sta riassorbendo)? No. Ma forse sarebbero bastati un po’ più di buon senso ed una giusta educazione ad evitare le ferite. Perché, come dichiara Marco de Sanctis, il membro del servizio d’ordine che l’ha colpito in testa col casco integrale, «Ho colpito Cristiano per difendere gli agenti». E’ obsoleta questa favola sessantottina che troppo spesso attraversa i cortei, rovinandone l’immagine, gli scopi, l’origine. Una favola che parla di studenti assassini, fannulloni e violenti e di poliziotti che picchiano gratuitamente, fascisti. Sfiora il ridicolo e diventa facilmente oggetto di strumentalizzazione mediatica. Sebbene un filone dell’opinione pubblica intraveda nel nostro attuale governo qualche atteggiamento lievemente filofascista (mai scritto una frase tanto frenata e diplomatica in vita mia), arrivare a paragonare la polizia incaricata di contenere i cortei, agli squadristi del ventennio è palesemente una mera scusa per far casino e attaccar briga. Tristemente bisogna ammettere che si sono verificate delle cariche delle forze armate sulla folla anche nelle ultime manifestazioni. Ma forse è il caso di sottolineare che tutti questi episodi di violenza sono stati deliberatamente provocati da una folla di persone (non tutto il corteo, ovviamente) che si può tranquillamente definire pericolosa, armata (perché di armi si tratta) di bottiglie e sassi nel migliore dei casi. Questo non è manifestare. E’ essere irrispettosi, incoscienti, pericolosi, cercare uno sfogo, un prototipo di “Fight Club”. Ma non è manifestare. La vera protesta, quella che ha ragion d’essere, è quella dei ragazzi che hanno scelto di far valere le proprie ragioni pacificamente e ragionevolmente, come chi è pronto a discutere e a vivere in un mondo civile. Questo è manifestare. 14 ottobre del 1980 – quarantamila colletti bianchi della Fiat attraversarono con un corteo le piazze di Torino, lasciando un ricordo che dopo trent’anni permane. Sfilarono in assoluto silenzio. Niente cariche quel giorno. Ottennero ciò che volevano. Non è con la frutta, che si guadagna la possibilità di cambiare.
Eugenia Beccalli (4F)