Interpretare i segreti degli scacchi
La pioggia. La pioggia cade fitta intorno a noi. Le gocce scendono come piccoli spilli sulle nostre teste, ma fortunatamente a pochi metri di distanza possiamo scorgere il piccolo stabile colorato dove si disputa il torneo di scacchi. Il connubio tra il cielo, la pioggia, l’aria umida e l’atmosfera intorno all’edificio è inquietante: nessun rumore.
Il silenzio regna sovrano su questa zona del villaggio. Sembra che ci sia una barriera, che non può essere superata da alcun rumore o suono esterno.
Ci sentiamo fortunati a poter entrare in questo nuovo mondo, fatti di segni muti e articolati ragionamenti.
Quello che affascina degli scacchi è il linguaggio che, passivamente, i giocatori utilizzano. Tutti guardano l’avversario negli occhi, alla fine della partita. Tutti portano con leggerezza il pedone sulla scacchiera, prima di tenerlo sollevato, quasi per sbrogliare la confusa massa di pensieri che precedono la mossa stessa.
La mossa può essere accompagnata da due espressioni del viso diverse: nel caso della riuscita della mossa, da un cipiglio divertito, non di sfida ma di contentezza; nel caso in cui il giocatore capisca appena dopo averla eseguita di aver sbagliato, da un lungo e questa volta sonoro sbuffo, accompagnato talvolta da leggere imprecazioni.
A parte i “rumori” emessi dai giocatori stessi, gli unici altri rumori che traspaiono sono il leggero “tlac” di un alfiere o il “tac” di una regina (questa differenza sonora ci è stata fatta notare da un piccolo giocatore, il quale ci ha elencato le leggere differenze).
Appena varcato l’uscio, inoltre, si nota la differenza abissale gli altri sport (di massa, che coinvolgono il pubblico) e questo (da solitari, dove l‘unico contatto con il pubblico si ha nel momento in cui i giocatori comunicano al giudice il risultato della partita): non solo i giocatori sono più concentrati dal punto di vista mentale piuttosto che fisico, ma anche la tifoseria sembra fatta di tutt’altra pasta. Gli unici spettatori siamo noi, oltre ai giudici e agli allenatori-professori (e possiamo comprenderne il motivo).
I tifosi, qualora siano presenti, non possono incitare i propri compagni con urla, grida e cori, possono solo cercare di intuirne le mosse e precedere quelle dell’avversario. Non possono dare suggerimenti tecnici (né gli allenatori, né il tifo, a differenza di molti altri sport), non possono dare supporto in caso di sconfitta, non possono congratularsi e festeggiare nel momento della vittoria.
Non esistono falli, ma esistono arbitri.
Il ritmo è serrato, le partite sono da trenta minuti. Tutti mantengono la concentrazione (anche se noi stentiamo a rimanere svegli) e chi perde, con dignità si alza, saluta l’avversario e lascia il posto agli altri sfidanti.
Una delle cose che sicuramente tutti gli altri sport, non considerati a torto più divertenti, dovrebbero imparare dagli scacchi è sicuramente la correttezza verso gli avversari, il modo di reagire di fronte ad essi, e di porsi davanti a vittorie e sconfitte.
Chiara Carrera, Annalisa Chiodetti, Riccardo Tione