“L’alba vista dall’aereo è probabilmente una delle cose più belle al mondo. Il sole, rosso, che sorge tra le nuvole, tra i chiari colori del mattino, nel pieno del decollo. L’alba di un nuovo giorno, e che nuovo giorno! Altro stato, altra gente, altri luoghi, altro mondo. Sempre io, però. E chissà se cambierò. Sentirsi all’improvviso sola e al contempo il contrario. Lontana e vicina a tutti. Vedersi scorrere la propria vita davanti agli occhi. Amori, amicizie, delusioni.
– Coffee? – E che “coffee” sia!
Pausa caffé.
Dov’ero? Mi tocca scrivere per combattere la noia, o forse l’ansia. Ho tanta paura a lasciar correre i miei pensieri, chissà dove andranno a finire. Eppure loro corrono, spensierati, avanti e indietro nella mia vita. E i loro piedini, seppur leggeri, scavano nella mia pancia. C’è chi le chiama “farfalle”, chi crampi, ma per me son pensieri che se la corrono.”
Un foglietto di carta esce da un quaderno di appunti, abbandonato sul tavolo. Scarabocchiate in fretta, una decina di righe prendono forma e significato. Sul retro, si legge il testo di una canzone: “Ti lascerò” di Anna Oxa e Fausto Leali. E poi ancora una frasetta, in basso a destra: “E, come al solito, l’i-Pod sembra ti capisca …” Insomma, qualche appunto di ricordi non così lontani.
Era un caldo mattino d’estate. Erano le quattro di notte, a dirla tutta. Un paio di occhiali, un pupazzo, un cappello della Ceres, una pesante valigia, uno zaino ricoperto di firme. Un saluto e un “buona fortuna” dalle compagne, un grande abbraccio alla mamma e alla migliore amica. Un aereo e una grande partenza. Era il 25 agosto ed è difficile descriverlo altrimenti, senza finire per divagare, si intende, occupando pagine e pagine.
Era un caldo mattino d’estate, ma il tempo perde valore quando si atterra dall’altra parte del mondo. Ed ecco come un caldo mattino si trasforma in una caldissima serata. Uno di quei caldi che non sembrano reali, che quando metti il piede fuori casa non realizzi di essere uscito all’aperto, ti sembra piuttosto di essere entrato, in una stufa. Ma, di nuovo, anche il caldo perde importanza, dopo una notte in bianco, 27 ore di viaggio, due scali e un quasi mancato aereo, a Chicago, a causa di un profondo sonnellino di fronte al gate. Insomma, un viaggio lungo e travagliato, ma portato a termine con l’atterraggio nella metropoli di Dallas. Nella mente riecheggia solo una parola, un unico desiderio: un letto.
“As you can see, trees are starting on the side of the road. We’re close to Tolar.”
A dir la verità, nel buio si vedeva ben poco e, che dire, la stanchezza e l’accento texano non hanno di certo aiutato, ma ci sarebbe stato tempo per comprendere a pieno quelle poche parole. Una simpatica battuta? No, pura e semplice verità. Il tipico paesaggio texano consiste infatti in una serie infinita di alberi. Un largo stradone circondato da alberi, alberi, e alberi ancora, e qualche mucca. Tante, tantissime mucche, per precisione, e con un po’ di fortuna qualche cavallo, una stazione di gas, un fast food. Muovendosi verso occidente, in realtà, gli alberi scompaiono, lasciando allo sguardo piena libertà nell’ammirare un’immensa distesa di verdi prati e campi di cotone, con come unico ostacolo un migliaio di mulini a vento.
E’ però a nord-est, tra gli alberi per intenderci, che si trova Tolar, un paese di 500 abitanti a circa un’ora e mezza da Dallas. Paese probabilmente non è il termine adatto, poiché Tolar in realtà ha poco a che vedere con un tipico paesino italiano. Tolar infatti è uno stradone. Ai lati non vi sono alberi, ma bassi ed estesi edifici. Chi ha visto un film western, capirà. Si svolta poi in un agglomerato di casette e giardini, oltre il quale si giunge di fronte alla Tolar High School (“THS”), centro non solo della vita degli studenti, ma di ogni singolo abitante del “paese”. La scuola americana è esattamente come nei film. Le cheerleaders sono tutte belle e bionde e i giocatori di football, considerati “hot” da più o meno tutta la scuola, hanno braccia spesse il doppio del normale e fisici da paura. A pranzo, il tavolo dei nerd, quello delle pallavoliste, dei giocatori di football.. esistono davvero. Tra un’ora e l’altra si hanno quattro minuti per dirigersi all’armadietto, cambiare libri e raggiungere la classe successiva. C’è una differenza, però. Se per caso inciampi e fai cadere tutti i libri, difficilmente incontri l’amore della tua vita. Anzi, con molta probabilità, ti fai solo una brutta figura e, imbarazzato, ti alzi da solo in un via vai di ragazzi e ragazze apparentemente indaffarati. Sono così infatti gli americani: corrono, si affrettano verso la classe, il fidanzato, l’armadietto, pressoché ignorando chi sta loro intorno, puntando dritto, lo sguardo fisso davanti a loro.
– Ehm, excuse me?
Un gran sorriso smagliante si volta pronto ad aiutarti. Gentilissimo, ti offre ogni spiegazione. Due, tre domande, una risata. Ti saluta con un “I love your accent”, si gira e torna alla sua vita. Mentre tu, un po’ spaventato e un po’ incuriosito, ti prepari ad affrontare il tuo ennesimo “primo giorno di scuola”.
Caro exchange student, forza, coraggio e buona fortuna!
Martina Vanelli (4B)