Al Vero, contro il tempo
Un giovane statunitense domandò a suo padre: “Perché il nostro cognome è Vero?” Questi gli rispose che lo avevano ereditato da suo nonno Alfio (bisnonno per il ragazzino), fondatore della fabbrica gestita dalla famiglia.
Il giovane crebbe nella più profonda ammirazione nei confronti del bisavolo di origini italiane, fautore del benessere economico che caratterizzava la famiglia Vero. Al era un ragazzo estremamente curioso e cercò di raccogliere il maggior numero possibile di informazioni sulla vita del tanto amato bisnonno. Per quanto si impegnò non riuscì mai a ricostruire gli avvenimenti relativi alla vita dell’antenato compresa tra i venti ed venticinque anni.
Diventato proprietario della fabbrica , Al decise di recarsi in Italia per indagare sull’ultimo periodo vissuto dal bisnonno in patria. Appena giunti in uno sperduto paesino della Toscana scoprì che in italiano il suo nome completo, Al Vero, aveva senso compiuto, era quasi un omaggio al senso di verità che lo spingeva nella sua ricerca. Ma ciò che scoprì fu imbarazzante.
Era presente solo più un esponente della famiglia Vero in quella zona, un uomo di mezza età della stessa generazione di Al. Il suo nome era, conformemente all’originalità con cui gli appellativi vengono distribuiti in quella sperduta zona della Maremma, Crono. Apprese che Alfio, il bisnonno aveva abbandonato la moglie, della quale non era mai stato veramente innamorato, per cercare fortuna in America, abbandonando così la neonata figlioletta, la nonna di Crono. Durante tutto il racconto una sola domanda tormentava la mente di Al, il contenuto di tale quesito può essere così semplificato: “ Come è possibile che mio nonno abbia compiuto così tanto male quando per me è simbolo di bene assoluto?” Tuttavia ciò che chiese al suo interlocutore dopo aver raccontato la propria visione dei fatti e le sue conoscenze riguardo alla vita “americana” del bisavolo fu: “Cosa rappresenta Alfio per voi? Fonte di disonore, un essere che tutti ricordano per il suo terribile abbandono?”
E Crono gli rispose: “Mio bisnonno, il tuo idolatrato avo non rappresenta più il disonore della nostra famiglia, l’esempio da evitare, il suo nome evoca solo qualche cosa di lontano: la sofferenza che generò nella vita di sua figlia, mia nonna, è sfumata nello scorrere del tempo, è stata dimenticata e con essa tutto ciò che riguardava Alfio. Non ti devi preoccupare di nulla, questa è la verità, ma come mi ripeteva sempre mia nonna, sua figlia: “Il tempo è gentiluomo” ”.
Al non disse nulla, non si tranquillizzò per le parole che aveva udito dal suo lontano parente ; egli aveva fatto luce su ciò che era stato nascosto da troppo tempo eppure quella luce era accecante e distruttiva mentre il tempo rappresentava un rassicurante oblio in cui immergere il triste ed oscuro passato.
Il suo stato d’animo era contraddistinto dalla percezione di un’atroce dicotomia che per la prima volta gli si era affacciata alla mente. La scissione tra il vero e il tempo era ormai insanabile ed era rappresentata dalle due famiglie originate dal suo bisavolo: da una parte Crono, dall’altra Al Vero, da una parte l’oscuro galantuomo, dall’altra la luminosa, spietata Verità.
Tempo e verità, in un mondo ideale
Il Tempo è un giovane uomo perfetto nell’aspetto, di una bellezza angelica eppure velata da un’ attraente oscurità, la purezza dei suoi lineamenti non gli conferisce nulla di efebico. La sua mascolinità è evidente, il suo fascino incontrovertibile. Il suo incedere lento e costante ne comporta un’andatura fiera, sicura, inarrestabile nella sua inesorabilità. Il suo sorriso è perlaceo seppure velato dall’ombra delle labbra carnose, non risplende poiché il suo volto non è mai illuminato, tuttavia il candore dei suoi denti non può passare inosservato. Gli occhi, perfetti nella forma, assorbono qualsiasi raggio luminoso, sembrano non avere un colore che li contraddistingua, vitree sfere di vetro di un colore incommensurabilmente scuro, incontestabilmente belli ma altrettanto insoliti ed originali. La corporatura è possente ma slanciata, gli abiti elegantissimi, circondati da un ampio mantello di un colore indefinibile, cangiante tra il blu ed il nero.
Al suo lento ed inesorabile cammino fa da contraltare la giovane, perennemente giovane, Verità. Anch’essa incredibilmente bella si manifesta come una ragazza regale nelle sue maniere ,dal volto severo, contraddistinto da un naso piuttosto marcato ma perfettamente in armonia con gli altri lineamenti: con le labbra sottili, perfetta cornice ad un sorriso pacato ed intimidatorio, con gli occhi dalla forma allungata, dall’aspetto nobiliare, animati da una luce propria ma glaciali nel loro azzurro cristallino, che sembra quasi tendere ad un grigio punteggiato di screziature gialle.
In una realtà, in altro mondo, il mondo delle Idee, i due erano una sola entità , in perfetta armonia, si sono scissi per manifestarsi così come noi li conosciamo. Uniti com’erano? Un essere androgino, perfetto nella sua completezza, nella sua bellezza, chiamiamolo Cronotheia, crasi di invenzione per dare un senso a questa unione di Crono e Aletheia . Nel mondo delle Idee il Tempo scorre sotto la luce perenne della Verità. Tutto appare come è e non può apparire diversamente, ogni cosa è immutabile, perfetta nella sua stasi, completa di ogni immaginabile virtù, non c’è possibilità poiché tutto è realizzato così come deve essere, la volontà coincide con il dovere, non c’è scarto tra i due che possa generare sofferenza, anche perché tutto è già generato, essendo sempre esistito. Il tempo esiste come eternità dell’immutabile, la verità come assoluto ed unicità . Tempo e Verità coincidono, perfettamente sovrapponibili. [Fine prima parte]
Claudio Brasso (5A)