Riflessioni da viaggio-distruzione

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Ci stanno provando. Io seduto come un pirla dietro l’angolo dove cominciano le scale che portano nella notte; i ragazzi a bisbigliare strategie di fuga evitando le porte allarmate a un tiro di sputo dalle stanze. Doppie, triple, quadruple; ammassi di valigie non disfatte.  Muri  predestinati a testimoniare una fugace presenza; letti inosservati che rimarranno illibati, risparmiati una volta tanto dal rifacimento mattutino.  E poi dicono che i giovani d’oggi non hanno più rispetto di niente e di nessuno. Ringrazieranno le cameriere! Attimi di silenzio seguiti da improvvisi squilli di voce. Risatine in sottofondo dalla 64, un i-pod amplificato diffonde hip-pop in saldo. E io qui che, per passare il mio tempo gendarme, digito sul portatile portato da Babbo Natale. Il senso della mia presenza in garitta diventa sempre più un rebus, un anagramma di lettere confuse che non trovano una somma dal significato chiaro. Di nuovo silenzio, troppo irreale direi. Magari faccio un giro di ricognizione, vado in perlustrazione. Mi stendo a terra in religioso silenzio, provo a ricordare il passo del lombrico, ma la naia è lontana, finita, sparita anche dai miei ricordi. Fatico nell’avvicinamento, ostacoli impensabili mi si parano davanti. Il corridoio dell’avanscoperta pare lungo, troppo lungo da fare strisciando a pancia sotto, spinto fa una forza sempre più debole di gambe sempre meno allenate. Meglio allora cambiare tattica. Provo con l’udito. Cerco di entrare mentalmente in un silenzio che non c’è, di isolarmi dal fruscio di sottofondo dell’impianto di riscaldamento. Tendo le orecchie, si allungano sulle pareti a captare eventuali minacce sussurrate a voce alta. Niente di niente. Sembrano svaniti nel nulla. D’improvviso passi leggeri, soffici ciabatte strascicate con maestria. Uno sguardo incuriosito dalla mia insolita presenza. Domande che si rincorrono nel silenzio di una mente quasi assopita. La sua? No, la mia! Pronta a pensare troppo in fretta, allenata malamente a vedere dietro i muri dell’apparenza. Ma questa volta hanno ragione loro, e io ho torto. Ma quali fughe notturne lontano dal prof adulto! Solo un unico, grande desiderio: stare insieme in una notte trasgressiva, fatta di parole, note, forse lacrime, dietro ad una porta d’albergo che non vuole essere aperta per fuggire. Una porta che vuole rimanere ben chiusa sul mondo, almeno per una notte.

Carlo Pizzala

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