Risposta ad “Apologia della famiglia”

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Proprio come dimostra la sua molteplice e varia diffusione in tutto il mondo, il concetto di “famiglia” è senza dubbio poliedrico, a modo suo evanescente, sebbene anche un bambino piccolo abbia istintivamente un’idea ben chiara al rigurado. Vincolarne la natura ad un contratto sociale forse è limitativo, tanto più che la famiglia nasce spontaneamente e viene successivamente istituzionalizzata quasi come riconoscimento della sua importanza non solo sociale, ma affettiva. Ed è l’affetto che ha guidato il suo sviluppo negli anni più recenti, a scapito di una visione meramente schematica del nucleo famigliare. Se da un lato si è indebolita l’univocità del matrimonio, dall’altro si è riconosciuto all’uomo il diritto e la possibilità di sbagliare nel prendere in moglie la persona giusta al primo colpo (ovviamente vale anche al contrario); se da un lato le famiglie sono sempre più frammentate, bisogna ricordare che il divorzio se avviene in codizioni civili non è necessariamente un trauma incurabile e che spesso per un bambino è molto più dannoso crescere in un ambiente ostile e carico di tensioni represse piuttosto che passare un fine settimana con la mamma e uno col papà. Forse il vincolo matrimoniale si è indebolito, ma non è stato un processo progettato a tavolino e messo in atto: è stata un’evoluzione spontanea tanto quanto la sua nascita. Coppie che dall’alba dei tempi si cornificavano, violenze perpetuate su bambini e donne, frustrazioni accumulate negli anni non sono una novità. Ci sono sempre stati, ma nella società moderna si ha avuto il coraggio di riconoscere questi problemi (anche gravi) e si è permesso a chi lo desidera di trovare un rimedio. D’altro canto, chi sente ancora come sacro e inviolabile il patto matrimoniale è libero di comportarsi secondo il proprio codice etico, purché non si generalizzi e non si applichi anche alle altrui situazioni.
Per quanto riguarda la necessità sia di una figura paterna che di una materna, dissento: volendo citare i cosiddetti “tempi felici” dell’istituzione famigliare, che a questo punto collocherei non dopo il millenovecento, la figura del padre rimane molto diversa da quella che intendiamo noi oggi e di certo è erroneo immaginerselo ai piedi del letto con un libro di fiabe in mano. L’educazione della prole era appannaggio delle donne. Anzi, per molto tempo la funzione dell’uomo è stata limitata al concepimento, quindi volendo appellarsi a quelle epoche di riferimento, tanto vale tagliare fuori l’uomo dall’educazione dei figli maschi almeno fino ai quattordici anni, ed eliminarla del tutto per le figlie femmine. Inoltre, spesso siamo abituati ad intendere con famiglia il modello tipicamente occidentale col quale siamo cresciuti, ma non dimentichiamo le situazioni di poligamia, o i nuclei famigliari misti di diverse tribù africane (anticipatrici dei moderni scambisti). Nessuna di queste culture ha mai prodotto bambini statisticamente più traumatizzati dei nostri.
Tra l’altro, sebbene possa sembrare strano, materno e paterno non vanno identificati necessariamente con il sesso del genitore. In molte famiglie di gay e lesbiche, che in paesi più evoluti del nostro hanno ottenuto il permesso di crescere dei bambini, i figli hanno comunque avuto un modello paterno e un modello materno, intesi nel senso odierno del termine. Dire che la maternità o la paternità sono strettamente legati ad un unico sesso è un errore: se così fosse, una figlia femmina avrebbe bisogno solamente della madre, perchè da un modello prettamente mascolino non avrebbe niente da acquisire (deve imparare a urinare in piedi forse? ) mentre un maschio, al contrario, avrebbe bisogno solo del padre e certamente così non è. Si tratta di presentare due modelli educativi e culturali che possono essere incarnati perfettamente sia da un uomo che da una donna, anche se tradizionalemente i ruoli sono stati assegnati in maniera univoca.
Per quanto riguarda le coppie di fatto, viste spesso con sguardo truce, chiedono semplicemente dei riconoscimenti giuridici ed economici riguardanti l’eredità, la pensione e il versamento dei contributi che hanno un certo peso. In un paese civile, bisognerebbe rispettare la scelta della convivenza senza distinzione giuridica, riconoscendo al matrimonio un valore esclusivamente spirituale, senza che sia caratterizzato da privilegi aggiuntivi. Una coppia di fatto (perchè, di fatto, è una coppia) non ha forse lo stesso calibro, la stessa sostanza e la stessa dignità di un equivalente con due anelli al dito?
Ognuno deve poter essere libero di vivere la propria esistenza (specialmente l’aspetto affettivo) senza costrizioni, nel rispetto di se stessi e degli altri.
Infine, per quanto riguarda “diffusione di una sessualità libertina, impoverita di qualunque aspetto che non sia il mero piacere carnale”, non dimentichiamo che non tutti baciano le pile. Il sesso è una questione estremamente privata, nessuno dovrebbe permettersi di stabilire e tantomeno imporre ad altri un codice etico riguardo preferenze, modalità e soprattutto scopi dell’atto. L’atto sessuale esente da violenza brutale, se consenziente e non imposto con la forza, è un atto libero, proprio, intimo e vitale. E con vitale, non intendo certo che debba essere vincolato alla procreazione necessariamente. Il sesso è una delle poche attività sane, ricreative, piacevoli, gratuite e senza danni collaterali (con le dovute precauzioni, come in tutti gli svaghi) che è rimasta alla nostra società. Se per questioni religiose si sceglie di seguire un determinato codice etico, questa scelta è da rispettare. Ma convincersi che le ragioni di chi non parla in nome di un Dio siano meno rispettabili delle proprie è la base di qualunque inciviltà perpetrata nella storia. Chi vuole amare, ami! Chi non vuole amare, si faccia da parte e lasci vivere il resto del mondo come meglio crede, dal momento che non nuoce a nessuno!

Eugenia Beccalli

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