Alluce cominciò lentamente a stiracchiarsi sotto le coperte, ma non potè fare a meno di svegliare i suoi fratelli. Le responsabilità del più grande sono sempre più onerose in famiglie numerose. Così, di lì a poco, quattro voci tenuamente cominciarono a lamentarsi di quel lento movimento, quasi avessero il mal di mare. Eppure Alluce, almeno inizialmente, un po’ d’attenzione quasi amorevole ce l’aveva messa, ma si era svegliato in uno stato di strana agitazione.
Dormire in cinque, uno attaccato all’altro, tutte le notti, non è proprio quel che si chiama meritato riposo. Svegliarsi sempre nello stesso posto, sempre con a fianco la stessa immagine della sera precedente. Una vita abitudinaria, a dir poco. Fu il primo Illice, il più vicino, a muovere lento il suo corpo assopito.
“Che fai? Stai attento!” – disse al fratello maggiore – “non potresti alzarti, per una volta, senza svegliarci tutti?”
“Sono le sette, Melluce, non rompere! E’ da mezz’ora che dovreste essere in piedi” – rispose Alluce con voce stanca.
“Lo sai che non devi chiamarmi così, non l’ho mai sopportato!” – incalzò Illice stizzito.
“Non è colpa mia se ti han dato due nomi! E a me piace di più Melluce, mio caro … Melluce!” – disse ridendo Alluce
“Non ti sopporto proprio quando fai così! Lasciamo perdere!” – sbottò Illice, girandosi verso l’altro fratello che lentamente si stava svegliando sulla sua destra.
“Non te la prendere Illice, lo sai com’è fatto Alluce! Solo perché è grande e grosso pensa di essere il capo.” – disse Trillice stiracchiandosi e focalizzando Illice sulla sua sinistra.
“Lo so, lo so! Se solo oltre all’altezza avessi un po’ più di muscoli, glielo farei vedere io chi comanda!” – disse Illice abbozzando un sorriso amaro. Con Trillice era sempre andato più d’accordo, una sintonia dovuta forse alla ridottissima differenza d’età, peso e costituzione. Erano sempre stati i due fratelli più uniti, fin da piccoli.
“Fai piano, che i due piccolini stanno ancora dormendo!” – disse Trillice, rivolgendosi ad Alluce che ormai diventava sempre più agitato.
“Ti ci metti anche tu? Guarda che ore sono e tira pure giù dal letto i piccolini. Sono sempre i più lenti a prepararsi” – rispose Alluce ormai in piedi.
“Ancora un minuto, per favorino” – chiese con un filo di voce Pondulo
“Dai Alluce, lasciaci dormire ancora un po’!” – gli fece eco Minolo
“Non se ne parla proprio! In piedi, sfaticati!” – ordinò Alluce con tono sempre più autoritario – “Pondolo, sbrigati! Mellino, giù dal letto, subito!”
“Cattivo!” – risposero in coro Pondulo e Minolo – “non vogliamo essere chiamati così!”
“Anche voi vi ci mettete? Ma cosa ho fatto di male? Possibile che in questa casa chi ha due nomi debba usarne solo uno?” – disse Alluce sempre più spazientito.
“Se vuoi che ci alziamo, chiamaci come vogliamo!” – dissero in coro i due fratelli più piccoli quasi piangendo – “se continui a chiamarci Pondolo e Mellino, facciamo finta di non sentire!”.
“Non sono mica un nano!” – aggiunse Pondulo – “E io non sono mica così piccolo!” – disse subito Minolo, prendendo un po’ di coraggio dal fratello alla sua sinistra.
“Ancora una parola e le prendete tutti e due!” – sentenziò Alluce.
I due fratelli più piccoli si mossero lanciandosi uno sguardo complice e si misero in piedi a malavoglia. Era troppa la differenza d’età, peso e costituzione con Alluce. Meglio dargli retta. Ed era troppa la differenza anche con Illice e Trillice, anche loro più grandi e troppo occupati nelle loro faccende.
Alluce, Illice-Melluce, Trillice, Pondulo-Pondolo e Minolo-Mellino cominciarono così quella giornata.
Una giornata che si preannunciava movimentata. Una giornata decisamente pesante. Una giornata.
Come tutte le altre.
Carlo Pizzala