Secondo il parere della medicina occidentale, il benessere corrisponde all’assenza di patologie testimoniata da un check-up medico, ma è frequente sentire persone che accusano disagi di cui il medico curante non riscontra alcuna traccia nelle analisi del sangue e nelle periodiche visite.
A questo punto si tende ad accusare il paziente di ipocondria, o a prescrivergli farmaci blandi, che regolarmente non gli danno alcun sollievo e lo lasciano solo più spossato e sfiduciato nei confronti del medico e della medicina in generale.
Questo tipo di situazione si è diffuso notevolmente negli ultimi decenni, in contemporanea all’apogeo della conoscenza medica: siamo arrivati ad usare strumenti così precisi da permetterci di andare a cercare l’origine della patologia che stiamo analizzando nelle molecole che compongono il nostro paziente.
Tutto, quindi, dovrebbe funzionare a dovere. E da un certo punto di vista, da un punto di vista prettamente scientifico, tutto funziona a dovere; il problema sta nel fatto che non esiste solo il punto di vista scientifico.
A prova di ciò, c’è il pensiero dei popoli del Sud del mondo, per i quali l’approccio scientifico è forse l’ultima cosa quando si parla di medicina: prima viene considerato l’aspetto globale umano.
Per tutte le medicine delle popolazioni legate allo spiritismo o allo sciamanesimo oppure semplicemente non occidentali infatti la malattia è uno squilibrio ambientale che si rispecchia nella persona, e questa persona non è mai solo molecole, o solo pensiero, è sempre entrambi. La persona è come il cerchio dello Ying e dello Yang, e sta male quando uno qualunque dei due prevale sull’altro: la salute è quindi soprattutto equilibrio, sia interiore che con l’ambiente che ci circonda.
Questo è uno dei punti fondamentali su cui si basano gli uomini e le donne di medicina quando curano un paziente. Pertanto, per capire cosa ha interrotto l’equilibrio e compiere le giuste mosse per ricrearlo è necessario uno studio approfondito non solo della patologia, ma anche e soprattutto della persona e del rapporto tra persona e patologia. Non si può studiare la medicina avulsa dal paziente, e quindi è necessario studiare prima di tutto il paziente.
Questa è una delle più grosse differenze tra medicina occidentale e medicine etniche; infatti la medicina occidentale prevede un lungo studio della patologia in sé e poco tempo da dedicare al paziente come persona ammalata, che quindi si sentirà poco seguito e poco capito nel suo dolore.
Ecco perché una percentuale di Italiani che già alcuni anni fa oscillava fra il 30 e il 50% ha deciso di rivolgersi a medici provenienti da altre culture, i cui saperi sono legati ad esperienze millenarie dell’ uso di piante che non curano solo il corpo ma anche la mente, che è stata ugualmente minata dalla malattia. Vale anche il principio inverso: una cura per una patologia della mente rilasserà anche il corpo stremato perché, come abbiamo visto, questi due elementi sono inscindibili, in quanto componenti a pari merito della persona.
La medicina indiana, cinese, sudamericana o africana è nota oggi per il vasto assortimento di piante e ritrovati animali e minerali che viene usato per curare il paziente, ma non è questo il loro aspetto fondamentale.
Non sono infatti il guaranà, l’harpagophytum o l’echinacea – tanto per citare i ritrovati vegetali più in uso – a determinare la buona riuscita della cura, e non è la loro somministrazione a fare un buon uomo di medicina: infatti il vero protagonista della guarigione è il paziente stesso, che già conosce la sua strada secondo il senso del destino proprio dei popoli del Sud del mondo. Lo scopo dell’uomo di medicina o del curador è quello di agevolargli il compito con le sue conoscenze.
Oggi si sceglie la medicina alternativa anche perché si ha paura degli effetti collaterali dei numerosi farmaci che ci vengono prescritti seraficamente dai nostri medici, mentre si vedono come più “naturali” i rimedi omeopatici, le manipolazioni e le sedute di agopuntura.
Le medicine etniche non possiedono però alcune conoscenze necessarie alla cura di alcune patologie come i tumori, per i quali bisogna ricorrere alla medicina occidentale. Anche in questi casi, però, può essere importante ricevere l’attenzione di un altro tipo di medico.
Per far fronte a questo tipo di situazioni si sta venendo a creare una collaborazione tra medicina occidentale e medicine etniche, ad esempio alla chemioterapia si può affiancare qualche seduta di fitoterapia. Questa collaborazione è avvertita come necessaria da buona parte dei medici, che stanno cercando di sconfiggere la resistenza dei più accaniti e famosi ricercatori affezionati alla medicina occidentale, ma soprattutto dai pazienti che, non dimentichiamolo, sono i veri protagonisti della medicina.
Chiara Murgia (1C)