“Salva me, fons pietatis.”

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Il “Requiem” di Mozart è incentrato sui temi del giudizio universale, di Dio e della preghiera. Credo che, pur trattandosi di un testo antico con la funzione di messa funebre, esso sia stato un mezzo per Mozart, oltre che per sfruttare il suo talento, anche per esprimere la propria posizione sull’argomento che tanto lo turbava, come turbava la civiltà di allora.

Nell’ “Introitus” ci si rivolge subito a Dio che viene invocato con il termine “Domine”, che fa già intuire una sottomissione e dà una visione specifica di Dio, che è quella del padrone supremo. Il brano che segue è il “Kyrie”, in cui l’autore invoca pietà denominando Dio “Signore” (“Kyrie”); ma il brano che più ci trasmette la visione di Dio è il “Rex Tremendae” che è composto da poche righe, le cui intensità e la cui melodia coinvolgono noi che l’ascoltiamo, forse quasi provocandoci i sentimenti che Mozart stesso percepiva. In questo brano, Dio viene invocato con il termine “Rex” e persiste il tono supplichevole verso la sua pietà e verso la salvazione.

La visione che emerge dal “Requiem” è l’inferiorità dell’uomo rispetto a Dio, una figura onnipotente che è padrona dell’universo, sempre giusta ma che fa tremare persino chi non ha mai commesso peccati ed errori. Dio sovrasta tutti e ha in mano il destino di ogni singolo individuo; inoltre, egli rappresenta la sola ed unica via per salvarsi e non essere condannati il giorno del temutissimo giudizio universale.

Nel mondo attuale, il pensiero che abbiamo su Dio e sulla religione, per quanto varie possano essere le posizioni prese da ciascuno, non viene espresso in questi termini e presenta qualche differenza dal pensiero antico. Esistono, inoltre, al giorno d’oggi, molte più persone con opinioni personali diversificate al riguardo.

Per quanto riguarda le varie religioni, non ritengo di possedere molte conoscenze; penso che si possa intravedere in esse una visione simile a quella del Requiem, ma forse non così forte. Le persone religiose pregano, chiedono pietà, fanno attenzione a non peccare, ma penso ci siano anche coloro che sentono Dio come parte di loro, o come un’entità che vede tutto e protegge. La  visione di questi ultimi, dunque,  è più vicina e incute meno terrore ed angoscia rispetto a quella del Requiem e penso che questo modo di pensare sia quello più comune; infatti a molti capita spontaneamente di pronunciare frasi come: “Aiutami, ti prego.”, oppure: “Fa’ che vada tutto bene.” e questo rappresenta un affidamento a Dio, come se riconoscessimo che tutto è nelle sue mani. Questo atteggiamento è forse dettato dal sussistere del pensiero antico nella nostra società oppure dalla nostra coscienza: qualcosa di spontaneo e naturale a cui il nostro “io” vuole credere, a prescindere dal ragionamento razionale.

La visione di Dio, inoltre, comporta anche una visione della morte:  la paura per il giorno del giudizio universale è dettato anche dalla paura di morire, di scomparire. Ho trovato questa visione della morte nel “Requiem” contrastante rispetto a quella del “Cantico di Frate Sole” di Francesco D’Assisi, dove quest’ultimo si riferisce alla morte con la parola “sorella”, come fa anche con la terra. Ciò fa intuire un altro tipo di relazione con la morte; infatti lo scopo che aveva l’autore era quello di rassicurare il popolo su quella che è  la più grande paura degli uomini. Infatti, è proprio la coscienza della morte, che accomuna atei, agnostici e credenti, a spaventare la maggior parte delle persone; per questo, oltre che per il suo valore musicale, dopo tutti i secoli passati dai tempi di Mozart, il suo “Requiem” rimane insuperabile: l’argomento di cui tratta sarà sempre moderno perchè interessa tutte le persone che hanno vissuto, che vivono e che vivranno.

 

Carolina Ghivarello (3F)

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