Salvare il mondo degli ingegneri

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definitivoL’habitat delle “Facoltà umanistiche” appare agli occhi dello studente medio del Poli come un luogo impervio e selvaggio, degno dell’inestricabile jungla nera di Salgari. O forse più probabilmente come un universo parallelo, frutto di qualche distorsione spaziotemporale …
Tanto per cominciare c’è qualcosa che non va già nel nome: Palazzo Nuovo. Nuovo? No, decisamente non ci siamo, questo … questo … palazzo (definiamolo pure palazzo per il momento, anche se architettonicamente parlando … ) non solo non è nuovo, ma sembra persino lontano dall’esserlo mai stato. E le lezioni? Ah sì, quelle che si seguono seduti per terra! Per terra? Ti sembra una cosa accettabile? Uno va lì per studiare e invece che ringraziare non lo degnano neanche di una sedia! Almeno l’orario sarà umano! Sono sempre imbambolati i letterati, persi con la testa fra le nuvole … Cosa? Non hai un orario? Ma stai scherzando?! E che lezioni segui? Non lo sai? Ma scusa non hai detto che avete già cominciato? Chiedi a qualcuno! Ci sarà pure una specie di segreteria, lì dentro! Non so, uno del secondo anno, un professore … Nessuno sa dirti qualcosa di preciso?
No. Non ho un orario umano. Non ho lezioni definite a priori. Non trovo qualcuno che sappia darmi indicazioni precise. Spesso non ho nemmeno una sedia. Le prime settimane nel nuovo habitat lasciano ogni matricola con un vago senso di smarrimento e un non so che di nostalgico nello sguardo, memore delle comodità liceali. Per quanto possano descrivercela, la vita universitaria si rivela sempre lontana da come l’avevamo immaginata. Vagando fra le aule nella prima settimana di ottobre ci si dedica a due attività fondamentali: cercare mutuo sostegno da chi è sulla nostra stessa barca, sperduta matricola nel suo mare di novità, ed eleggere un mentore che possa iniziarci ai misteri della facoltà, nonché darci qualche dritta nel svolgere il compito più arduo e machiavellico: scegliere i corsi. Navighiamo nella marea di SSD (settori scientifico-disciplinari), fra L-FIL.LET, L-LIN, L-ANT e altre sigle oscure, da cui ci si aspetta riusciremo ad estrarre il nostro piano di studi. Ci troviamo presto arenati in un’enorme, intricato solitario da risolvere. Ci impegniamo per cercare di venirne a capo: scegliamo accuratamente il programma più interessante, gli orari più convenienti, i professori più apprezzati … per poi scoprire che tanto un certo esame possono darlo solo quelli alti un metro e ottanta con gli occhi verdi – com’era specificato chiaramente al link indicato in basso a destra, in calce al pdf allegato agli ultimi risultati del test di un mese fa pubblicati sulla pagina dell’insegnate. Oppure che si accavalla all’unica lezione con obbligo di frequenza, il cui orario è appena stato reso noto dopo settimane di inutile attesa. Se ne usciamo vivi, in logica non ci batterà nessuno. Nemmeno le menti matematiche del Politecnico.
Vi diranno che per fare medicina bisogna essere convinti. (Sono sei anni! Non c’è nulla di più difficile che costringersi a studiare sei anni! Senza contare la specialistica …) Non dategli retta: per buttarsi alla cieca nella selva di corsi accavallati e pre-corsi fantasma, lettorati obbligatori e test orientativi, segreterie e punti informativi, esami per tutti ed esami per qualcuno, SSD, TARM, CFU, CLIFU, CLMM, per affrontare questo, bisogna essere molto convinti. Decisamente convinti. Perché se un’uggiosa mattina d’autunno vi affacciaste alla finestra e guardando il cielo plumbeo che annuncia pioggia imminente, realizzaste che vi si prospettano tre o quattro ore seduti per terra, su un pavimento ghiacciato di linoleum verde palude, che la lezione è assolutamente facoltativa e che non ricordate nemmeno il numero dell’aula in cui dovreste infilarvi … ecco allora solo se sarete convinti non perderete anche le successive 50 o 60 ore di lezione invernali rischiando di ridurre l’Università – la tanto agognata Università, che al liceo sembrava un paradiso irraggiungibile – più ad un passatempo che ad un reale percorso formativo.
Vi diranno anche che il futuro è nelle mani degli ingegneri. Che posto può avere uno studente di lettere in un mondo fatto di tecnologia? L’incontenibile ed inspiegabile moda di potersi dire sempre più informatizzati, non basta nemmeno a far funzionare il sistema informatico universitario. Perché diciamolo, al Poli saranno anche capaci, ma le facoltà umanistiche non ce la possono proprio fare. È contro natura: più si avvicinano alle nuove tecnologie più queste sembrano avere un rigetto. Si bloccano, s’ingolfano, s’inceppano sempre al momento buono. E tutti i tentativi di farne delle Facoltà tecnologiche vengono all’improvviso cancellati. Nella società dell’informatica e delle nuove tecnologie non c’è posto per letteratura e filosofia. Sono lontani i bei tempi in cui l’otium era considerato una virtù . Il mondo moderno ha bisogno degli ingegneri, non di altri disoccupati. Ha bisogno che si lavori allo sviluppo informatico, a rendere possibile l’esplorazione spaziale, a migliorare le città e i trasporti, alla ricerca di nuove energie che potranno arginare i rischi dei cambiamenti climatici. Cosa può aspettarsi da noi?
Anche in questo caso non lasciamoci spaventare troppo. Se gli ingegneri saranno davvero tutti impegnati a salvare il mondo, ci dovrà pur essere qualcuno che si preoccupi di salvare anche loro. Perciò non disperate colleghi umanisti, quando usciremo dalla selva selvaggia e aspra e forte, ci sarà lavoro anche per noi. In fondo se abbiamo scelto di coccolarci ancora qualche anno in compagnia delle Lettere non è certo allo scopo di tenerle per noi.

Federica Baradello
(Facoltà di Lettere e Filosofia, Torino)

 

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