La proposta dello scambio con Uppsala ha dato il via a singolari fantasie mentali sul prototipo del classico o della classica svedese. L’idea di passare una settimana nel “Paese dei biondi occhi azzurri” stuzzicava parecchio. Abbiamo accettato.
17 Aprile: 22 Italiani e 31 Svedesi si incontrano per la prima volta. L’imbarazzo iniziale genera le prime domande scontate.” Sei mai stato in Italia? Com’è andato il volo? Qual è la prima cosa che ti viene in mente se dico la parola Svezia? Qui fa più freddo che da voi, vero?”
Ci chiedete se fa più freddo? Ci sono circa 3 gradi. Tremiamo, imbottiti da cappelli, sciarpe, giacconi pesanti. “Raga, ma una gitarella alle Maldive no, eh? ”
Di fronte a noi gli ospiti sfoggiano a mala pena un giubbottino di jeans, lasciato aperto su una maglietta a maniche corte. Ognuno di noi li segue nelle loro rispettive case. Il primo giorno si conclude così.
Basta la prima sera per farci innamorare di questo Paese e di chi ci vive. L’appuntamento per il giorno successivo è nella caffetteria della scuola. Siamo a dir poco entusiasti. I corrispondenti sono ospitali, allegri, curiosi. E amano le feste. Indimenticabile il party a casa di Petra, che ci coinvolge tutti: 53 individui urlanti saltano a ritmo di musica in un salone. Inizialmente ci scateniamo nei balli di gruppo italiani, poi è la volta dei padroni di casa. Assistiamo ad una scena indescrivibile.
“Ah, certo, questo dev’essere il loro idioma barbaro!” si sente urlare da un divanetto.
Come? se vogliamo unirci alla vostra danza selvaggia locale? Ma no, grazie, stiamo bene così!
Durante il nostro soggiorno abbiamo l’opportunità di venire a poco a poco a conoscenza della lingua svedese, che, come abbiamo appurato, a volte genera ambiguità. “Fika?” Ci chiede una ragazza un pomeriggio, con un sorriso fin troppo innocente sul volto. Ci guardiamo, spaesati. Un’Italiana risponde “Grazie!”, visibilmente imbarazzata. Peccato che non sia un complimento. “Fika” allude infatti all’azione di prendere un caffè con gli amici. Proseguono le risate generali quando tentiamo di spiegare il significato italiano della parola, poi ci dirigiamo nella caffetteria. È proprio qui che avviene la meravigliosa scoperta della Kladdkåka, la torta tipica. Ingredienti: Cioccolato, gocce di cioccolato, morbida crema di cioccolato. Il paradiso.
Anche alcune Svedesi privilegiate, d’altra parte, hanno la fortuna di assaggiare le specialità italiane, quando, una sera, cinque volontarie esibiscono i loro risultati finali: spaghetti alla carbonara, penne all’amatriciana e penne con panna, prosciutto e piselli. Inutile precisare che le più emotive si siano commosse e abbiano fotografato più e più volte la tavola imbandita. Le rassicuriamo promettendo loro che questo è il genere di bella vita che avrebbero fatto a settembre, in Italia. I gridolini di gioia si accentuano quando iniziamo a parlare dei dolci: naturale, se si pensa che da loro il massimo sia un pacchetto di caramelle e molte di loro non abbiano mai mangiato la Nutella!
Presto, troppo presto, arriva l’ultima sera. Si inizia con la cena tutti insieme, accompagnata da un video di tutte le foto scattate in precedenza che suscitano parecchia ilarità, in particolare quelle in cui siamo immortalati durante una festa, presi dalla musica. Seguono un discorso di ringraziamento e la distribuzione delle magliette della scuola, che la maggior parte di noi non esita a far tappezzare immediatamente di firme e dediche. Subito dopo schizziamo fuori per la partita di calcio Italia-Svezia, con la vittoria della squadra in casa. A nostra difesa è da precisare che non siamo abituati ad una temperatura intorno ai due gradi in questa stagione. Il resto della serata comprende la consumazione di bibite e patatine in un fast-food. Nessuno di noi sembra ricordarsi della partenza, di lì a poche ore: ora siamo qui, come un’unica famiglia, a ridere, scherzare, scambiarsi indirizzi e numeri di telefono, ricordare insieme gli episodi più belli, giurarsi di mantenere i contatti e promettere di ritornare nella fredda Svezia. Il giorno dopo cantiamo l’inno d’Italia. Subito dopo loro ci imitano, cantando il proprio. Il pianoforte come accompagnamento ci avvolge in un’atmosfera calda e piacevole, che ci fa sentire a casa. Ci dirigiamo alla stazione e formiamo un cerchio. Cominciano i saluti. La maggior parte di noi non riesce a trattenere le lacrime, ma c’è fortunatamente qualcuno che ha la forza di sdrammatizzare, di ridere, di urlare che ci rivedremo presto. Alcuni svedesi corrono persino dietro al pullman per bussare ai finestrini. “Ciao bella!” gridano. Li abbiamo fatti divertire con l’ironia italiana, abbiamo fatto conoscere loro Benigni guardando tutti insieme “La vita è bella”, abbiamo esaltato il nostro Paese, lodando i paesaggi, la cucina, il patrimonio artistico e culturale. Abbiamo trasmesso loro l’amore per l’Italia ancora prima che abbiano avuto occasione di visitarla. Ci sentiamo fieri, colmi di gioia, uniti. Amiamo la Svezia, amiamo gli Svedesi che abbiamo conosciuto.
Ilaria Palumbo (3D)