E se cominciassimo a dare il giusto peso alle parole? Se non avessimo il timore di chiamare quella che si è appena conclusa un esempio, anche piuttosto riuscito, di “scuola co-gestita”? Da entrambe le parti, s’intende! Non “Giornate dello studente”, per favore! Ricordano troppo i fine settimana d’apertura delle concessionarie auto per il lancio dell’ultimo modello. E neanche “autogestione”, altrettanto per favore! Ricorda troppo un passato che non ha quasi niente in comune con quanto è successo negli ultimi tre giorni della settimana scorsa.
Sì, perché quello che si è appena concluso è un momento di vita scolastica che offre diversi spunti di riflessione, sui quali è sempre più necessario un confronto di tutte le “anime” della Scuola, grandi e “piccine” (o, per par condicio, in fieri e “grandicelle”)
Primo. Gli studenti hanno dimostrato capacità organizzative e di gestione decisamente mature, hanno preparato un programma interessante e decisamente ricco di qualità, hanno partecipato con senso di responsabilità e sincero interesse. Ovviamente la maggioranza, per carità! Qualcuno che ciondolava per i corridoi c’era, ma, tutto sommato, si può chiudere un occhio (in fondo c’è sempre anche qualche prof che talvolta dimentica i suoi doveri, non è vero?).
Secondo. Per fortuna, però, gli studenti si sono dimenticati che “autogestione” ha un significato politico molto preciso, e cioè: “quello che mi offrono non mi piace; sono in grado di dimostrare che posso fare meglio da solo”. E qui la fragile memoria ci ha soccorso! Nessuna polemica, nessuna bomba a mano, nessuna occupazione violenta, niente di tutto ciò. Solamente una richesta; un “lei sarebbe disponibile per …?” diffuso a macchia d’olio tra le schiere “avversarie”.
Terzo. Non rimane che prendere atto della notevole differenza con il passato. E non parlo degli anni sessanta-settanta (ci mancherebbe … il mito non si tocca), ma di periodi anche più recenti. Ma quando mai gli studenti che vogliono “autogestire” chiedono la collaborazione dei propri prof!? Quando mai affollano conferenze tenute da coloro che fino al minuto prima hanno in mano il registro del loro futuro!? Forse quando più che “autogestire” cercano una didattica diversa, fatta di momenti trasversali, di confronto, di dibattito, di circolazione orizzontale delle idee? Forse quando a scuola, in fondo, ci stanno bene, ma vorrebbero starci ancora meglio? O semplicemente quando si fidano di chi hanno di fronte e non se la sentono di contestare il ruolo degli adulti, perché, in fondo, ciò che non piace non sono i grandi, ma i loro strumenti di comunicazione?
Quarto. I docenti (ad essere sincero, è più bello “i prof”, ma rimaniamo sul formale) hanno dimostrato capacità d’ascolto, di mediazione, di partecipazione interessata. Ma quando mai, in un passato non troppo lontano, di fronte alla parola “autogestione studentesca” si respirava il desiderio sincero degli adulti di collaborare con gli studenti! E non per “insegnare” ad auto-organizzarsi o per fare proselitismo politico, ma per dire che forse, sì, se i contenuti ci sono, merita dare una possibilità. Certo qualcuno più restio e diffidente c’è sempre di fronte ad iniziative come questa (soprattutto se vengono presentate con il nome sbagliato), ma, in fondo, il rapporto numerico con chi ciondolava per i corridoi era quasi paritetico.
Quinto. E’ stato bello, davvero bello, assistere a conferenze tenute da colleghi; prof (ops … mi è scappato) che tutti i giorni salutiamo, con cui parliamo di scuola, ma con cui ci confrontiamo molto poco sullo “stare in classe” (ognuno forse troppo geloso dei propri segreti professionali). E’ stato bello sentir parlare di filosofia, di arte, di letteratura; ma è stato ancor più bello “assistere”, vedere i colleghi all’opera trasmettere la propria passione con una competenza dir poco affascinante. E’ stato bello, insomma, stare ad ascoltare, e non come al solito la propria voce! Una sorta di (auto)formazione decisamente più efficace ed interessante di tanti noiosi corsi d’aggiornamento organizzati da professionisti della scuola. E’ stato bello porprio questo: fare il “pubblico” insieme ai ragazzi, come semplici ascoltatori curiosi di “sapere”, di scoprire qualcosa che non si sa. Un atto di umiltà interessante, non trovate? E’ stato bello, appunto. Ma allora, perché non leggerci qualcosa in più? E se fosse, per caso, una necessità anche dei prof (ops … mi è scappato di nuovo) quella di uscire dalle mura della classe e provare a lavorare in modo diverso, almeno qualche volta? Se fosse giunto il momento propizio per cercare di costruire davvero quell’interdisciplinarità tanto agognata e mai realmente raggiunta dal sistema-scuola?
Sesto (ed ultimo). Non rimane altro che prendere atto, anche su questo versante quindi, delle notevoli differenze con il passato. Sarà mica che i prof (ops … be’ non mi scuso più) non son tutti quelli dipinti dai ministri, dai politici e da tutti quelli che a scuola non ci hanno mai più messo piede dopo il loro bel titolo di studio? Sarà mica che di questo gli studenti se ne sono accorti prima dei giornalisti? Non sarà che i prof cominciano ad essere stufi di una didattica troppo legata a retaggi culturali ormai superati? Sarà mica che i prof hanno lo stesso bisogno degli studenti di momenti trasversali, di confronto, di dibattito, di circolazione orizzontale delle idee? Sarà forse il caso di cominciare a “fidarsi” di una generazione che poi tanto vuota di idee non è?
Proviamo a leggere quindi “autogestione”, la parola tanto cara agli studenti e un po’ meno ai docenti, in un modo diverso. Non più come la necessità di una contrapposizione, non più come un “muro contro muro”, ma più coraggiosamente come: “quello che mi offrite non mi piace, siamo in grado di dimostrare che possiamo fare meglio insieme?”. Se cominciassimo a chiamarla allora, tanto per evitare traumi lessicali repentini ad entrambe le parti in causa, “auto-co-gestione”?
Carlo Pizzala