Senza se e senza ma. In fondo Sei Zero nove bis, il romanzo d’esordio di Roberto Capra, avvocato torinese con la passione della letteratura, potrebbe essere riassunto in questa sentenza. Una scelta difficile quella del giovane autore che, senza svestire i panni professionali, affronta con coraggio temi di strettissima attualità tratteggiandoli con i colori olimpici di una Torino 2006 che tutti ricordiamo con un po’ di nostalgia. Un’accusa infamante nei confronti di un potente uomo politico in declino dai presunti gusti sessuali piuttosto immorali (il 609bis è l’articolo del Codice penale relativo allo stupro), un avvocato che ne assume la difesa mettendo a repentaglio il proprio equilibrio borghese ma che sceglie di non tradire i propri ideali, un sottofondo di personaggi secondari che, uno per uno, ci obbligano a fare i conti con i nostri “mostri interiori”, quei pregiudizi che tutti, involontariamente o meno, abbiamo. Gli ingredienti ci sono tutti per aspettarsi un legal-thriller all’italiana, ma in questo caso di thriller c’è ben poco (e meno male). Diciamolo subito: gli amanti dei tribunali in celluloide americani rimarranno delusi, quelli che invece cercano un realismo quasi disarmante si troveranno di fronte a pagine che mettono a nudo (finalmente) un mondo sempre più conosciuto solo attraverso i salotti televisivi notturni, quello della giustizia italiana. Ed è su questo che siamo finiti a parlare incontrando l’autore. Di giustizia! Di letteratura anche (ovviamente), ma soprattutto di un’idea di legalità che tutti sosteniamo di avere ma che in fondo facilmente può essere messa in discussione. Ci siamo trovati di fronte una persona molto preparata, e non solo in campo giuridico, che senza tanti peli sulla lingua ha dialogato per oltre due ore con la nostra redazione. Le domande sono state le più svariate e le più curiose, spaziando dagli aspetti più letterari del romanzo a quelli maggiormente “gossip pari”. Non è questo tuttavia ciò che ha colpito maggiormente chi scrive. Quello che più è stato affascinante è il confronto che ne è nato. Da un lato la generazione più giovane sospinta da parecchi “senza se e senza ma” pronta a condannare senza le opportune distinzioni, dall’altra la generazione più datata che, forse maggiormente consapevole del fatto che tutti gli uomini possono essere considerati dei potenziali criminali, si è trovata quasi sul banco degli imputati. Sarà che l’età che avanza offre tali occasioni di errore che si perde lentamente la sicurezza di giudizio tipica degli adolescenti; sarà che a 40 anni ci si identifica più facilmente anche nell’anti-eroe; sarà che l’autore voleva provocare determinate reazioni e ci è riuscito in pieno; sarà il clima invernale e l’influsso del buco dell’ozono; ma ne è venuto fuori un dibattito davvero interessante. Concetti anche non di facile comprensione quali la differenza tra pena retributiva e pena riabilitante hanno rappresentato il cardine del confronto. Di fronte ad un reato, di qualsiasi natura esso sia, chi sbaglia come deve pagare? Qual è il fine del carcere? Come deve essere ricompensata la società, o meglio il singolo individuo che subisce un torto? Qualsiasi criminale merita una difesa? Qual è il confine che separa il cittadino onesto dal criminale? Qual è il ruolo giocato dai mass media? Perché la prima pagina per un avviso di garanzia e un trafiletto per un’assoluzione in tribunale? Perché siamo arrivati ad un punto in cui il processo mediatico conta più di quello in aula di fronte ad un giudice? Insomma, questioni non da poco. Tra forcaioli e garantisti non sono mancati certo notevoli spunti di riflessione, ma l’autore ci ha lasciato una bellissima testimonianza di umanità associata alla consapevolezza della propria professione. Uomo e avvocato, un binomio da tenere scisso il più possibile (sempre che ci si riesca davvero!) Chi sbaglia deve pagare, su questo non ci piove, ma dalle parole di Capra un imperativo domina sempre su tutto il resto: il diritto. Se si dimentica anche solo per un attimo questo, facilmente si scivola in giudizi avventati. Il diritto è l’unica garanzia che l’uomo concede all’uomo per essere tutelato della propria libertà. Certo non sempre alla teoria segue la prassi (soprattutto negli ultimi tempi), ma finché la teoria non muore si può perlomeno sperare che la legge sia davvero, prima o poi, uguale per tutti.
Carlo Pizzala