1-2 settembre 2012. Primo fine settimana da exchange student in Finlandia. Prima settimana da incubo, sballottata da una parte all’altra come una pallina da ping pong. Tutto nuovo, diverso, da scoprire. Primo incontro con gli altri exchange students in Satakunna, la regione dove abito qui in Finlandia.
Trentotto exchange students da tutto il mondo in un campeggio “in the middle of nowhere”, descrizione non insolita per molti posti qui al Nord. Trentotto ragazzi in quattro gruppi capeggiati da nove returnies, ormai veterani nel settore, carichi di esperienze internazionali e fonte di preziosi consigli. Strano riabbracciare alcuni ragazzi italiani, lasciati solo una settimana prima, ed altri “amici stranieri”, incontrati di sfuggita all’aeroporto di Helsinki, in attesa delle nostre future famiglie. Strano, ma piacevole. Un piccolo ricordo di quello che abbiamo lasciato, ora ci torna indietro, anche se per poco. Fa piacere. Eravamo tutti lì, tutti insieme, solo una settimana fa o poco più. E ora siamo di nuovo insieme, non tutti, ma ci siamo. Qualcosa di piccolo che ci ricorda un po’ casa, qualcosa che ci scalda un po’, dopo questa settimana che ci ha messo alla prova, trascorsa con un po’ di nostalgia di casa. Strano poter parlare di nuovo la propria madrelingua, riuscendo a farsi capire senza dover tradurre tutto prima di aprire bocca.
Due giorni pieni di attività e tanti, tanti discorsi. Domande, risposte, preoccupazioni, aspettative, sogni. Siamo tutti sulla stessa barca. Trentotto ragazzi diversi, ognuno con la propria cultura, la propria personalità, la propria lingua. Cile, Thailandia, Brasile, USA, Cina, Austria. Trentotto ragazzi da tutto il mondo, tutti insieme in Finlandia: un posto magico, casa di Babbo Natale, distesa interminabile di foreste e laghi. Siamo tutti qui. Vicini, nella stessa stanza. Ma forse, con la mente altrove. Se non nel Paese natio, magari solamente immersa nella miriade di domande che frulla dentro di noi, in cerca di risposte. Alcune domande lontane, altre troppo intime e personali, altre ancora spontanee. E le domande arrivano, a raffica, una dopo l’altra. Sono tutte per i volontari, che rispondono, o almeno tentano di rispondere. E con le domande arrivano anche le risposte: togliersi le scarpe prima di entrare, soffiarsi il naso in disparte, andare nudi in sauna, ringraziare sempre con un semplice “kiitos” prima di alzarsi da tavola … e tanto altro ancora sulla vita quotidiana. La conversazione si intensifica, diventa più profonda. È un crescendo. Tanti i temi affrontati. Primo tra tutti quello della lingua. Suoni astrusi, inorecchiabili, incomprensibili. Chi se lo sarebbe mai aspettato così il finlandese? Inutile dire che non si capisce niente. Quattordici casi logici, regole ferree, e tante, davvero tante eccezioni. La lingua, ostacolo insormontabile. Almeno per il momento, si spera. Ascoltare tutto il giorno gli altri parlare una lingua “sconosciuta e ostica”, seguire le conversazioni tentando disperatamente di captare qualcosa e non capirci niente è frustrante. La lingua, base portante di una cultura e obiettivo da raggiungere. Post-it con i nomi degli oggetti ovunque per casa, un giorno alla settimana parlando solo finlandese … è dura. Ma ci si prova. Questi i piani per riuscirci e a due mesi dal mio arrivo devo dire che funzionano. Ora un po’ di finlandese lo mastico, ma c’è ancora molto da imparare. Ci provo e non mi arrendo, poiché “aina kannatta yrittä”, vale sempre la pena provarci.
Superato il tema linguistico, quello che spaventa di più, si va avanti: la gente e la loro cultura. Alti, belli, biondi, occhi azzurri (si intende!), freddi e gelidi: questo il più comune stereotipo da noi al Sud. Solo sette giorni nel “Nuovo Mondo”, così poco tempo, è bastato per rendersi conto di come sia la gente qui. Alti, belli, biondi e occhi azzurri sì, freddi e gelidi assolutamente no. La mentalità è totalmente diversa. Non si bada molto all’apparenza, ma molto di più a come sono le persone “dentro”. L’ho notato subito e tutto questo tempo non ha fatto niente altro che confermare la mia tesi.
Le domande continuano a raffica, una dopo l’altra. La conversazione scorre veloce, come i miei pensieri. Siamo tanti, diversi, da ogni angolo del mondo. Ognuno con la propria lingua, la propria personalità, la propria cultura. Un coacervo di culture, qui davanti ai miei occhi. Mi fermo un attimo a pensare: tanti, diversi, ma tutti uguali in fondo. Trentotto ragazzi con le stesse motivazioni, le stesse aspettative, le stesse paure, gli stessi sogni. E se guardo da un’altra prospettiva, mi rendo conto che in questa multiculturalità non c’è tutta questa differenza. È inutile fare paragoni, anche se è questo ciò che la società spesso ci insegna. Non bisogna trovare un “meglio” o un “peggio”. Basta aprire gli occhi e il cuore, per rendersi conto che c’è solo qualcosa di apparentemente diverso che riveste qualcosa di molto, molto simile “dentro”.
Irene Salvatore (4D)