“Ehi bambina, come ti chiami?”
“Angela”
“E cosa ci fai tutta sola su questo pullman?”
“Sto andando in Francia”
“E non hai paura?”
“Sì, molta.”
Un viaggio di nove ore passato così, tra qualche minuto di sonno, chiacchiere con persone mai viste prima, tra cui bambine tanto curiose, e un bel po’ di nausea (per via del modo folle in cui lo scorbutico autista spagnolo aveva deciso di guidare). Sembrano lunghissime nove ore, a pensarci. No, in realtà non sono nulla. Il tempo è relativo, l’attesa è sempre interminabile è vero, ma il più delle volte basta tenere la mente occupata. Adrenalina. Viaggiavo per la prima volta da sola, e stavo andando proprio lì. Felicità. Finalmente ci saremmo rivisti. Ci saremmo riabbracciati e le nostre chiacchiere non sarebbero state solo più virtuali. Ansia. “E se non è più come me lo immagino? Se io non sono più come lui mi ricorda?” Sarei sicuramente stata in imbarazzo. Un anno è troppo.
No, no, sarebbe andato tutto bene. Non c’era nulla di cui preoccuparsi. Lui mi voleva lì, in quel momento. Stava pulendo e riordinando la sua camera solo per me, stava andando a comprare i dolci per il nostro appuntamento di San Valentino, leggermente posticipato. Mi stava aspettando.
Ed io ormai avevo sorpassato il confine con la Francia, non potevo più tornare indietro. Avevo appena realizzato il sogno che da troppo tempo tentava di uscire dal cassetto. Era bastato insistere alla fine. Insistere nel modo più pesante e ostinato che potessi fare: “non potete impedirmelo, vado con i miei soldi”, “ho bisogno di andare là”, “se non mi fate andare non studierò per la maturità”. Ingigantendo le cose, naturalmente. Non avrei mai smesso di studiare semplicemente per protesta, ma sentivo che quella era una cosa che andava fatta. In qualche modo, quel pullman dovevo prenderlo. Perché poi? Per lui? O per il semplice fatto di evadere, per un istante, da questa realtà da cui, purtroppo, non posso scappare (mi riferisco più che altro al fatto che debba affrontare un esame di maturità tra non molto)? Che poi, maturità. Una persona come me, che scappa appena può, è da considerarsi matura? “Ehi bambina”. Fosse per me, passerei un’intera vita su un pullman, o su un treno o su un aereo, non cambia molto. La verità è che nulla va mai troppo bene. Citando Baudelaire, “il me semble que je serais toujours bien là où je ne suis pas”.
Perciò non è stato difficile. Era quello che volevo e sapevo che non me ne sarei pentita.
Così, trova i soldi, l’indirizzo della biglietteria, prendi la metro, il pullman, gira a piedi, trova la biglietteria, fai la coda, ti accorgi di aver sbagliato biglietteria (ce n’è una per i pullman italiani e un’altra per le Eurolinee), rifai la coda da capo, poi finalmente: “Un biglietto di andata e ritorno per Montpellier.” “Per quanti?” “Per me soltanto.” E non esiste frase che io abbia pronunciato, in tutta la mia vita, con maggior soddisfazione. Poi l’attesa. Una lunga, infinita attesa. Ma è arrivato anche il 27 aprile, alla fine.
Uno zaino con poche cose dentro, Il Piacere, che avrebbe “alleggerito” le troppe ore di viaggio che mi aspettavano, e un sorriso stampato in faccia. Et voilà! se davvero, come ci ha insegnato da piccoli la Disney, “i sogni son desideri di felicità”, allora probabilmente, nel momento in cui il pullman si è fermato per non ripartire più, ho capito cosa volesse dire “essere felice”. Ed è bastato scorgere, guardando fuori dal finestrino, un sorriso e uno sguardo pieno di calore, lo stesso calore che da ore invadeva il mio corpo. “Bienvenue en France.”
Angela Vinci (5B)