Autogestione. Questa parola alle orecchie dei nostri genitori ha una valenza ben diversa da quella che siamo abituati a dargli: ribellione, cambiamento, lotta, dimostrazione di qualcosa a qualcuno. Qualcosa di estremamente importante, una presa di coscienza collettiva che, nel tempo, ha ricordato alla scuola il vero protagonista del sistema di istruzione: lo studente.
Oggi, però, forse il contesto storico è decisamente cambiato, tanto da far sembrare l’autogestione l’ultimo ricordo sbiadito di un impegno sociale serio e profondo del quale si è perso lo spirito.
L’Umberto I ha vissuto tre giorni in cui il mondo è entrato dalla porta, ha portato dialogo, ha portato quel vento di novità indispensabile per ricordare agli allievi che la nostra scuola è e deve essere un specchio della realtà esterna, uno strumento di analisi, comprensione, uno strumento di vita. Tre giorni di attività, laboratori, lezioni fuori dalle classi e fuori dalla norma a fianco di professori, esperti, uomini inarrestabili e realtà scomode.
Tre giorni di conferenze che guardavano al passato (artiste di altre epoche), al presente (lotta contro la mafia, TAV) e al futuro (vita accademica e militare) hanno risvegliato quello spirito che l’Umberto I non dovrebbe mai scrollarsi di dosso, quel sentimento di amore e curiosità verso il mondo esterno nel quale ci prepariamo a vivere noi, cittadini di un futuro fin troppo vicino.
Tre giorni grazie ai quali ci si ricorda che la scuola non è solo una lunga e statica lezione frontale, ma è imparare a vivere attraverso il cambiamento, il dialogo, gli altri e noi stessi.
Un’esperienza fondamentale per ricordare agli alunni sempre più assopiti ciò che le generazioni precedenti ribadirono con tanta foga, ossia che la scuola è fatta in primo luogo dallo studente stesso e dalla sua partecipazione. Quindi, sotto questo punto di vista, si rallegrino gli ex allievi: lo spirito dell’autogestione non è andato perduto.
Eugenia Beccalli (3F)