“Ero terrorizzata, è stato tremendo. Ho visto una donna che aveva perso le gambe. Potevo essere io” dichiara Nasrin, esule siriana in Svezia da dieci anni, che si trovava vicino alla strada dell’attentato. 7 aprile 2017, Stoccolma si accinge a trascorrere un altro giorno di serena vita urbana, ma la svolta tragica dei fatti ci è nota. Durante la giornata di venerdì, un camion è piombato sulla via pedonale Drottninggatan causando 4 vittime e 15 feriti. L’attentatore è riuscito a scappare, approfittando dell’incendio causato dal camion in fiamme dopo l’impatto. A distanza di pochi giorni le dinamiche dell’attacco risultano più chiare alle forze dell’ordine: il camion, appartenente alla fabbrica di birra Spendrups, è stato rubato mentre l’autista stava scaricando alcuni dei barili trasportati. Inutile il tentativo di fermare l’attentatore, il quale pochi istanti dopo si è lanciato sulla folla. La polizia svedese, però, è riuscita a rintracciare e arrestare il colpevole il 9 aprile. Subito dopo l’incidente, il primo ministro Stefan Lofven ha dichiarato “La Svezia è stata attaccata, è stato compiuto un attentato con morti e molti feriti”. Il principale indagato risponde al nome di Rakhmat Akilov, di origine uzbeka, un 39enne che aveva chiesto asilo politico al governo svedese nel 2014, ma respinto nel 2016. “Manca ancora una rivendicazione ufficiale, ma questo potrebbe essere collegato come in altri casi all’esistenza di una vera e propria cellula dormiente che le formazioni jihadiste vogliono tenere ancora sottotraccia”, scrive La Repubblica sulle indagini a carico dell’accusato. L’uomo, infatti, aveva manifestato simpatie nei confronti dei gruppi estremisti ed era ricercato per essere espulso dal paese. Le vittime sono state identificate e l’uomo fermato ha confessato di aver agito per vendicare le bombe sull’ISIS. La famiglia reale svedese si è dichiarata profondamente addolorata e ha inviato personali condoglianze alle famiglie delle vittime. Dopo Londra, Berlino, Khan Sheikhoun e Stoccolma, il 2017 sembra essere iniziato nel peggiore dei modi, ma ancora più gravemente ci rende evidente una triste verità: la coesistenza è inspiegabilmente difficile per gli uomini d’oggi. Con l’amaro in bocca e di giorno in giorno sempre più lacrime agli occhi, è spontaneo chiedersi quale sia la ragione di tutto questa violenza e quando si riuscirà a costruire una società libera dalla paura e dall’oppressione. “Sembra che per l’umanità non ci sia più speranza”. Sono le parole di Nasrin, rifugiata siriana e superstite di Stoccolma; sono parole tristi, piene di paura e disperazione di chi è fuggito da una realtà di orrore per ritrovarsi nuovamente in pericolo. La più giovane delle vittime di venerdì scorso aveva solo 11 anni: nemmeno più i bambini possono muovere un senso di compassione? Siamo davvero arrivati al punto di non ritorno?
Martina Paganelli