Studenti-fantasmi

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Studenti-fantasmi“Siamo nella fase di silenzioso riposo subito dopo la prima grande battaglia.”
È una frase tratta da qualche libro sulla guerra del Vietnam, probabilmente, eppure in qualche modo non riesco a fare a meno di notare quanto incredibilmente efficace sia nel descrivere la situazione di noi poveri studentelli, rinchiusi tra le quattro mura dove ogni giorno passiamo così tanto tempo. Il periodo prima di Pasqua è emblematico: è appena finito il pestilenziale ammasso di compiti in classe e interrogazioni di inizio pentamestre, quando tutti i professori si accorgono all’improvviso di aver bisogno di ennemila voti e tutti, saggiamente, decidono di fare subito man bassa delle capacità fisiche e psicologiche dei loro alunni per non trovarsi a litigare con gli altri docenti un mese dopo. Mi viene in mente una vecchia vignetta di chissà quale fumetto dove un autista bloccato in tangenziale si lamenta chiedendosi come abbia fatto a trovare traffico a quell’ora, di solito libera dalle altre auto, scelta appunto per questo, e poi tutti i gli altri automobilisti rispondono di aver fatto lo stesso ragionamento ed ecco il perché dell’ingorgo. D’accordo, la vignetta faceva più ridere della mia ingarbugliata descrizione, ma il punto è questo: sono circa dodici anni che mi vengono assegnati compiti a casa e che devo subire terribili periodi di compiti in classe e verifiche a raffica. Eppure, per qualche magico motivo, portato per lo più da ragioni pratiche e organizzative, accade sempre durante l’anno che uno studente apra il diario con le sue ultime forze e una sorta di ondata d’inerzia lo pervada da capo a piedi.
Ecco cosa intendo con momento di riposo dopo la prima battaglia. Ci sono periodi in cui anche solo nell’entrare a scuola si rischia di essere investiti da semi-esseri umani completamente pieni di caffè, con gli occhi rossi e spalancati e l’incapacità più totale di parlare di qualunque cosa appena fuori dall’interrogazione del giorno. Mi è capitato di chiedere ad un ragazzo a mensa che ora fosse e mi sono sentita rispondere in francese, prima di scappare dall’evidente tentativo di cominciare un aspro dibattito sulla metafisica aristotelica introdotta nel modello controriformista cattolico e l’eventuale confronto con la poetica di Tasso. Sono giorni durante i quali la stretta necessità di sopravvivere è l’unica cosa che ci spinge ad aprire i cinque o sei libri al giorno per studiare le cento o duecento pagine per il mattino dopo, trascorrendo una pratica ed esaltante notte insonne e conoscendo una nuova e generosa amica di nome Moca. Saltare una sola ora di scuola durante un periodo come questi vuol dire rischiare una bocciatura poichè il programma di tutte (e dico tutte) le materie avanza galoppando e senza conoscere freno.
Poi, all’improvviso, forse dopo uno strano week end di pochi compiti scritti o dopo i giorni veloci dell’autogestione, lo stesso studente di prima apre il diario e, per il giorno dopo, non c’è assolutamente nulla.
Nulla.
E non dico “nessun compito in classe per il quale studiare”. Intendo proprio nulla.
Segue l’incredulità e nonostante le conferme dei compagni di classe è necessario un controllo formale presso ogni singolo professore per accertarsi di aver visto bene.
Eppure non c’è proprio nulla.
Allora, come per una reazione fisica ancora da scoprire, lo studente perde immediatamente ogni sua capacità pratica e psichica. Diventa una sorta di ameba pensante.
Teoricamente, il periodo di “pausa” servirebbe per approfondire lo studio di argomenti non ben trattati o per dedicarsi ad attività extrascolastiche di medio impegno, ma non è così. Queste sono cose che si fanno durante le vacanze o nei giorni in cui ci sono compiti, ma ce ne sono pochi.
Quando comincia la fase di “nulla” lo studente cade nel baratro dell’inerzia, nel profondo pozzo dell’incapacità comunicativa e comincia ad arrancare come uno zombie per i corridoi della scuola, senza sapere bene perché si trova lì. Qualche lezione continua ad essere interessante, d’accordo, qualche dialogo continua a piacergli: ma è come se vedesse tutto attraverso una spessa lente opaca che sfuma i contorni del mondo e anestetizza le emozioni, rendendoci fantasmi di noi stessi. Detto così sembra l’effetto di una droga molto forte o di un periodo troppo prolungato in manicomio. Ma la fase inerziale è conosciuta da tutti coloro che abbiano almeno una volta frequentato un liceo da studiosi affacendati.
È quel momento dove è troppo presto per cominciare a studiare per i giorni a venire, troppo tardi per recuperare ciò che si ha dimenticato; si è troppo stanchi per fare attività, troppo svegli per dormire. Ergo, una grande fetta della propria vita è trascorsa a guardare il nulla e a pensare il niente, in uno stato catatonico-vegetativo che porterebbe anche il più bigotto dei cattolici ad approvare, per pietà, l’eutanasia.
Sembrerebbe una condizione potenzialmente infinita, dalla quale è impossibile uscire.
Molti vorrebbero che fosse così.
Ma sono speranze vane. Presto o tardi la guerra ricomincerà e il treno partirà con o senza di noi. Sarà istinto di sopravvivenza, sarà abitudine o sesto senso, tutti gli studenti prenderanno quel treno e presto si ritroveranno ad essere sbatacchiati qua e là dal fiume di verifiche e compiti e interrogazioni e libri da leggere e riassunti da fare. Ci sarà il vulcano degli esami ed il tornado dei mezzi voti e si conoscerà presto l’ira dei logaritmi e la furia delle lettere classiche.
E sarà una tremenda corsa fino alla fine.
Eppure, in qualche modo, siamo tutti passati da quell’opaca parentesi accidiosa e stanca e, a volte, la guardiamo con un misto di orrore e rimpianto.
Così, fra poco, cominceranno le vacanze di Pasqua e saremo troppo intenti a divertirci, riposare, studiare, ripassare e sarà quella la vera pausa mentre queste settimane si nasconderanno sotto cumuli di altri pensieri.
E il ricordo diverrà trasparente e sottile, come siamo noi, studenti-fantasmi, in questa sonnolente fase di stallo.

Carlotta Pavese (4D)

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