Studiare italiano. Le due parole assumono un gusto amaro, sulla lingua dello studente che si trova a pronunciarle di venerdì pomeriggio.
L’inverno sembra finalmente essere finito, agli sgoccioli è la stagione degli scivoloni sulla neve che occupava le strade e movimentava le mattinate dei torinesi ritardatari.
L’aria profuma di primavera e il sole sembra timidamente suggerire che è giunto il momento di tornare ad occupare i parchi. L’erba del Valentino, ormai asciutta, invita a riprendere l’abitudine di fare picnic e di festeggiare nelle serate più tiepide.
Poi torna, quel pensiero: studiare italiano. È come un imperativo morale contro il quale si cerca di lottare: “Lo posso fare domani … in fondo ho bisogno di distrarmi!! Sono sicuro che in due giorni riuscirò a studiare quei superficialoni di scapigliati, Verga e a leggere i Malavoglia per intero. Mica è poi così lungo quel libro”
La speranza è che il tempo possa improvvisamente dilatarsi, permettendoci non solo di imparare quanto c’è da sapere circa la letteratura del 1800, ma anche di uscire, divertirci, riposarci e magari anche rivedere quel vecchio amico che, proprio a causa dei serratissimi ritmi scolastici, è passato in secondo piano.
Avviandosi verso casa il venerdì pomeriggio, alla fine delle lezioni, l’italiano alberga in un luogo remoto della nostra mente. Fra sorrisi e saluti, si programma la serata. Chi di noi si ritroverà al quadrilatero, magari al frequentatissimo Drink, fa col pollice e il mignolo il gesto del telefono. “Vado a casa, mi cambio, ti chiamo e usciamo!” Idilliaco programma, che per alcuni comporterà addirittura una puntatina alla sempre in voga Piazza Vittorio.
Osservando gli amici bevitori (ovviamente noi studenti modello non prendiamo esempio), un ricordo riaffiora alla memoria: “sembra quasi l’atmosfera in cui si aggiravano quei poeti “scapigliati”, o decadenti … non ho capito la differenza”. Fortunatamente il nostro bisogno di distrazioni è più forte dell’insidioso pensiero, che viene ricacciato nell’angolino buio da cui era riuscito a sfuggire.
Una volta toccato il letto, ci si riesce ad addormentare col sorriso che si disegna sulle labbra. Il giorno dopo si avrà tutto il tempo per fare e portare a compimento molti piani diversi. La biblioteca non è lontana da casa, poi andarci in compagnia degli amici non è mai un peso. Si tratta perfino di piacere, quando permette di incontrare quel ragazzo/a che si aveva adocchiato la settimana prima e, guarda caso, è ancora lì. “Il sabato studio sempre bene, quindi finirò una volta per tutte italiano”. E con che soddisfazione si chiudono finalmente gli occhi sull’interminabile settimana scolastica.
Dopo una bella colazione abbondante, magari guardando la TV o leggendo un fumetto, si delinea finalmente l’obiettivo della giornata. La determinazione nell’aria è quasi palpabile, come l’energia che anima lo studente volenteroso.
“Hey, vuoi fare una partita a calcetto dopo pranzo??” “Ti andrebbe di fare una capatina al mercato prima di studiare oggi??”. Capitano domande del genere. La volontà prova a opporsi, ma la compassione per un amico evidentemente bisognoso di compagnia è più forte. Ogni precedente programma è rimandato. Che diamine, nella vita gli affetti sono più importanti d’ogni altra cosa!
Il sabato, come anche la pigra domenica, spesa a vagabondare in pigiama e pantofole per casa, trascorre in un battibaleno.
“È appena passata la mezzanotte,” pensa lo studente medio “fra sette ore si torna a scuola e non so niente. Avrei dovuto studiare, lo sapevo. Sono un cretino, ma non demordo, tanto è roba che avevo ascoltato in classe. Prima faccio il caffè, poi comincio. E magari nel frattempo riesco anche a chiamare Luca, che in questi giorni non s’è proprio visto.”
C’è ancora tutta la notte per studiare italiano …
Eleonora Rossi (5B)