Per quanto sia condannabile l’astensionismo, è un fenomeno da non sottovalutare.
E’ doveroso da parte di ciascuno di noi domandarsi il perché l’unico dato incontestabile nella frastagliatissima situazione politica italiana sia la mancanza di partecipazione. La delusione, la stanchezza, la sfiducia nelle istituzioni sono tangibili quotidianamente nella vita reale, quella di chi, ogni giorno, si sveglia nel Veronese con il dubbio, l’ansia, il terrore che i propri figli possano essere lasciati a scuola senza essere riaccompagnati dallo scuola-bus, di chi nel Bresciano è costretto a ricevere la CARITA’ da imprenditori pur di poter usufruire del servizio mensa scolastico. Ed è proprio dalla scuola (quella che stanno demolendo con foga da gladiatori) che comincia la formazione per creare una coscienza politica, ma soprattutto civica; il valore del voto, l’arma sulla quale si basa quello che dovrebbe essere uno stato democratico, viene prepotentemente sminuito nel suo significato più profondo: quello di esprimere la propria ideologia, consci che solo attraverso il contributo di ciascuno venga garantita una minima percentuale di pluralismo.
Eppure pare che recarsi alle urne significhi solo più “che tu deleghi un partito, che sceglie una coalizione, che sceglie un candidato, che tu non sai chi è, e che tu deleghi a rappresentarti per cinque anni e che se lo incontri ti dice giustamente -Lei non sa chi sono io-“. Ciò che pretende la gente è di sentirsi vicino non alla politica, ma ai politici: ecco perché Grillo, Di Pietro, lo stesso Berlusconi ottengono maggior successo e consenso, soprattutto nei ceti meno istruiti e socialmente meno inseriti. Loro non parlano politichese, la loro forza sta nel populismo, prima che nei valori in cui credono, senza mai dimenticare la notevole rilevanza mediatica che viene sfruttata ovviamente a loro vantaggio. D’altro canto rimane la politica del terrore e dei meri interessi personali, secondo cui il NEGRO e quello con la PELLE GIALLA son buoni solo per raccogliere arance o fare involtini primavera, ma non meritano il diritto di voto, di cittadinanza, di partecipazione. Politica del terrore, perché si fa propaganda e si convince infondendo insicurezza e promettendo controllo, individualizzata ed individualista, perché è evidente che il cittadino solo è più debole, più influenzabile e meno critico; oltretutto nell’egoismo intrinseco degli italiani è facile attecchire con argomentazioni demagoghe che rispecchiano esclusivamente gli interessi di pochi, mascherati dal contentino di molti. In un Paese la cui crisi economica è presto diventata culturale, che si sta avviando con un moto uniformemente accelerato verso il dispotismo infimo, celato dietro le barricate delle televisioni, delle testate giornalistiche e manca poco (vedi ultima legge Calderoli) persino dietro alla Magistratura, vedo la necessità di mobilitarsi. In primo luogo, cercano di trovare delle linee guida comuni, che siano il più possibile condivise. Certo, l’orgoglio della Sinistra non accetterebbe mai di cadere in un leggero qualunquismo, mentre i Moderati chissà, forse temono in un’egemonia un po’ troppo radicale e di parte. E Gaber avrebbe aggiunto, “ma la dittatura di Centro, quella si che ci va bene”. Magari! Magari fosse quello il nostro problema, magari ci fosse SOLO una Democrazia Cristiana incapace, mafiosa e corrotta. Quello a cui stiamo andando incontro è ben peggio: partiti xenofobi, razzisti, libertà individuali annullate al fine di un controllo maggiore sulle coscienze del popolo. La Costituzione? Carta igienica per il nostro Governo.
E non vorrei sembrar cinica, né disillusa. Bisogna aprire gli occhi, quelli che a tutti costi cercano di oscurarci, e dopo essersi resi conto del problema non basta lamentarsi, bensì agire. Bisogna impegnarsi, uscire dall’ombra, scendere in piazza, andare a votare, partecipare, ripartire da zero. Perché in fondo è li che siamo arrivati
Gemma Nicola (4D)