Exchange students: l’avventura, la lingua, la crescita e le paure. Ma qual è il vero obbiettivo? E, soprattutto, pensare in grande fa la differenza?
“Proponi!”, “Sorridi!”, “Partecipa!”, “Non costruire muri davanti a te”. Questi sono i principali consigli che vengono forniti ai futuri exchange students dalle associazioni, dai parenti o, ancora meglio, da chi ha già avuto occasione di vivere quest’esperienza. Consigli che, mesi prima della partenza, non vengono neanche presi in considerazione. Il chiodo fisso in testa è “Ah quanto mi divertirò” oppure “Me la caverò benissimo”. Consigli che, con il passare del tempo, continuano ad essere ritenuti scontati e superficiali. Gli stessi, tuttavia, a cui ci si aggrappa il fatidico giorno. Per paura. Paura di non farcela, paura di non poter restare così tanto tempo lontano da mamma, papà, fidanzato/a e amici. La stessa paura che ti porta a pensare:” Ma cosa sto facendo? Come mi è venuta questa idea?”. E, solo in quel momento, pieno di rimorsi e rimpianti, si comincia a credere che, forse, quei tanto ripetuti consigli potrebbero non risultare poi così inutili e scontati. Strano ma vero.
Essere un exchange student, tuttavia, non è facile. Fin dal primo mese, che per molti può rivelarsi come il più “impossibile”, ci si rende conto che quei quattro semplici consigli possono non essere sufficienti. Ci vuole ben altro. Il parere di molti è che gli obbiettivi di questa esperienza siano apprendere la lingua, andare alla scoperta del mondo, diventare autonomi ed imparare ad adattarsi. Ed è vero, lo si fa soprattutto per questo. Ma vi è un altro aspetto positivo. Qualcosa di cui ci si rende conto solo dopo le prime settimane. Un obbiettivo che potrebbe essere considerato quasi paradossale: imparare a pensare in grande per vedere le piccole cose. Per vedere oltre. Trovarsi in un nuovo “mondo”, essere parte di una nuova famiglia e di una nuova realtà richiede impegno. Un impegno che permette di capire, sperimentare e, soprattutto, di apprezzare ciò che si sta vivendo. Ed è questa la chiave di tutto: cercare gli aspetti positivi delle piccole azioni quotidiane. Azioni che possono essere, per esempio, leggere storie prima di dormire alla sorellina di 10 anni, stare seduti intorno al fuoco quando salta la luce, aiutare con il lavoro nella fattoria o portare il cane al “dog training”. Si tratta solamente di imparare a cogliere le occasioni che si presentano: quando mai, ad un ragazzo di città capiterà di piantare alberi? O ad un figlio minore di leggere storie ad una sorellina più piccola? Si parla di piccole e, magari, per molti, insignificanti azioni. Azioni che per qualcuno potrebbero essere abituali e di conseguenza scontate. Azioni che dovrebbero essere apprezzate proprio per il loro essere piccole e semplici. Azioni che, a ben pensarci, portano a riflettere su un nuovo consiglio da aggiungere a quella lunga lista: “Cogli l’opportunità”.
Elena Parodi (4B) – corrispondente dalla Tasmania