Il tennis, più che uno sport, è uno status socio-economico. C’è la classe proletaria, quella borghese, la classe nobiliare in decadenza e in mezzo a queste ultime due … loro, i tennisti.
Esagero? Sarà, ma per me aveva ragione Gaber: il tennista medio, quando va a giocare ha come ultimissimo pensiero nella sua lista mentale il fatto di muovere gambe e braccia, alias: praticare uno sport.
All’inizio mi sono limitata ad osservare la lenta discesa nel tunnel di alcuni amici e familiari, poi mi sono detta che tutto sommato mi sarebbe piaciuto imparare a maneggiare la racchetta, se non altro come arma impropria. E venne l’iscrizione al corso serale, perché sono una brava ragazza e nel pomeriggio studio ( a-ha, si certo); ed è stato così che ho scoperto che, al di là degli assioli, per quanto ne dica Pascoli, la notte cela creature ben più inquietanti: le madamin della TorinoBene. Non ci sono definizioni su Wikipedia, né su enciclopedie esistenti, ma se volete farvi un’idea andate a ficcanasare al circolo del bridge domenicale, alle serate dei cumenda, ai … beh, campi da tennis. Signore dall’età indefinita per via dei numerosi passaggi del ferro da stiro: e badate bene, non mi riferisco ad una vita passata ad adempiere con umiltà alle faccende domestiche. Era una metafora costituita da un ferro da stiro (bisturi), uno stiratore (chirurgo) e l’asse da stiro ( l’eterea e stiracchiata madamin in questione). Zigomi così alti ed adunchi non se ne vedono tutti i giorni, credetemi. Ad ogni modo, tornando ai fatti, i miei fantastici riflessi e la mia proverbiale coordinazione (spesso usati come esempio negativo persino tra le comunità di bradipi che popolano il Brasile) mi avevano spinto a non comprare nemmeno un calzino in occasione della prima lezione, nel caso il maestro mi guardasse con compassione e togliendomi di mano la racchetta, mi indicasse una scacchiera o almeno il ForzaQuattro, se non addirittura l’uscita. Così sono arrivata trulla trulla con una tuta di mio fratello, delle scarpe che un tempo dovevano essere state da ginnastica, felpina e via … Ovviamente, niente racchetta visti i costi (alti alti alti). La prima cosa che ho notato è bastata a far scendere la mia autostima ginnica (già bassissima) sotto i minimi storici: una mia compagna di corso, in teoria una principiante (mai quanto me, s’intende, ma comunque principiante) che pareva uscita da WIMBLEDON. Beh, diciamo che sarebbe parsa uscita da Wimbledon, non fosse per i quaranta-cinquanta-sessant’anni sparsi a caso sul suo corpo, a seconda dei ritocchi già avvenuti e di quelli ancora da fare. Racchetta sgargiante, gonnellino sexy con sotto i pantaloncini (al quale nessuna donna è mai riuscita a dare uno scopo pratico tranne quello sottinteso di rimorchiare il maestro), scarpe così contorte e piene di cosi futuristici (termine tecnico) che mi ricordano quelle di James Bond, fascetta in tinta e ghigno malefico. Ecco, ho pensato, è fatta: verrò umiliata dalla nonna brutta di Dracula (cit.). La guardo con l’espressione BambiPerdutoNeiBoschiDellaSuaAutostima e mormoro preoccupata: “Mi scusi, ma lei da quanto gioca?”. Mi risponde con lo sguardo di disprezzo alla ScarGuardaSimbaComeSeFosseGiàMortoMaSorrideLoStesso :”Beh, ho fatto solo tre lezioni”.
Ora, non sarò una grande sportiva e di questo mi sono sempre sinceramente dispiaciuta. Ma quando si tratta di fiutare stronzate non mi stanno dietro nemmeno Red, Toby e tutta la carica dei 101 messi assieme (questa era l’ultima disneyata, giuro) e quando una persona, nell’arco di tre lezioni, ha speso un totale approssimativo di 500 euro per un’attrezzatura che non sa nemmeno usare beh … questa è una stronzata con i fiocchi e le paillettes. Mi ci è voluto un po’ per capire che in realtà, non è una cosa così in solita. A quanto pare, la maggior parte dei tennisti, principianti e no, considerano parte integrante dello sport e quindi del divertimento, comprare attrezzature il più fantasmagoriche possibili. L’atto di andare, scegliere, trastullarsi in descrizioni tecniche incomprensibili ma piene di affascinanti paroloni, sborsare somme di denaro allucinanti in nome di uno sport che si pratica da circa 21 ore e 36 minuti … Fa parte del magico mondo del tennis. E la cosa non mi stupisce nemmeno troppo, io ci sono passata anni fa con il nuoto. Non che gareggiassi, anzi, ma dopo 11 anni di vasche ti senti comunque un grande esperto che si merita il costume più tecnologico (tecnologia de che poi?) di tutta Decathlon. Ma è anche vero che dopo 11 anni di vasche hai la consapevolezza che chi sa nuotare, nuota anche con una camicia di forza e che non basta una buona attrezzatura a migliorare le prestazioni, soprattutto quando si è principianti. Alla fine ho scoperto che faccio discretamente schifo come tutti, la metà delle palline nemmeno le vedo ma tutto sommato me la cavo. Quindi ho deciso che è ora di fare sul serio, ora che sto diventando brava, anzi, una vera professionista (2 lezioni), ho bisogno di un paio di scarpe che mi facciano il caffè, una racchetta con i motori a curvatura (Scotty, teletrasporto!) , una tuta spaziotemporale aerodinamica e un po’ di istinto di sopravvivenza per impedirmi di chiedere a mia madre di comprarmi tutte queste cose!
Eugenia Beccalli