Garanzia di imparzialità o “80 croci” sul futuro degli universitari?
Da circa tre mesi si è conclusa la “caccia” per aggiudicarsi un posto nelle facoltà universitarie a numero chiuso. Molti studenti si sono destreggiati tra un quesito e l’altro per raggiungere il primo traguardo di un faticoso percorso che culmina nel conseguimento del titolo di studio universitario, in un iter temporale variabile dai tre ai sei anni.
Ai primi di settembre, in numerosi atenei italiani, gli aspiranti camici bianchi, seguiti dai candidati per le restanti facoltà a numero chiuso quali veterinaria, architettura e professioni sanitarie, hanno sostenuto i test preparati dal MIUR (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca).
Il numero di aspiranti che svolgono le prove di ammissione è in continua crescita, confermando l’aumento del numero dei giovani che, dopo aver ottenuto il diploma di scuola secondaria si iscrivono all’università, ed in particolare coloro che scelgono Medicina e Chirurgia come corso di laurea. «Oggi il numero di medici supera ancora la media Ocse (Organizzazione per la cooperazione e per lo sviluppo economico, ndr.) – spiega Andrea Lenzi, presidente del CUN (Consiglio Universitario Nazionale) – ma a breve la situazione potrebbe cambiare ed è necessario aumentare le iscrizioni». Nonostante questa previsione, sono ancora presenti rigidi criteri di valutazione.
Le prove d’ingresso ad ogni facoltà a numero chiuso sono costituite da ottanta quesiti che prevedono cinque alternative di risposta di cui solo una è esatta. Gli argomenti e il numero di domande ad essi relative variano a seconda dell’indirizzo di studio di ogni singolo corso di laurea; ad essi si aggiungono domande di cultura generale e di logica. Questi ultimi, secondo il parere dell’ex ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini, sarebbero i più adatti a consentire «la valutazione effettiva dell’idoneità oltre che della competenza dello studente».
La selezione dei candidati attraverso quiz a risposta multipla è stata, negli ultimi anni, oggetto di discussione, quando non di veri e propri scandali. Non solo: il numero di posti disponibili è ritenuto troppo limitato rispetto all’effettiva richiesta. In particolare l’UDU (Unione degli Universitari) si è sempre battuta per il maggiore rispetto del diritto di studio, per l’abolizione dei test d’ingresso e del numero chiuso. La rappresentanza universitaria, infatti, accusa il governo di «non investire sul mondo del sapere» e della cultura, preferendo all’adeguamento delle capacità ricettive delle strutture il mancato incremento del numero effettivo dei posti a disposizione degli studenti.
Limitare l’ingresso alle facoltà costituisce un primo filtro dei candidati teoricamente predisposti al corso di laurea prima ancora dell’inevitabile selezione “naturale” in itinere. I test d’ingresso proposti allora prima dell’inizio delle lezioni dovrebbero garantire maggiore imparzialità ed equità rispetto ai colloqui attitudinali, che inevitabilmente dipendono da un giudizio soggettivo, e al voto di maturità, il cui valore può essere correlato alla tipologia di scuola superiore frequentata e all’area geografica di provenienza. Il criterio obiettivo di valutazione dovrebbe essere assicurato da quesiti ai quali ogni studente, in linea teorica, dovrebbe essere in grado di rispondere, facendo tesoro degli insegnamenti impartiti durante i cinque anni della scuola secondaria di secondo grado. Un discreto numero di domande non risponde, però, a questa esigenza tanto da essere state definite “80 croci sul […] futuro” durante la manifestazione “Medici senza barriere” organizzata dall’Unione degli Universitari. I partecipanti hanno denunciato l’iniquità di quesiti che spesso presentano errori, vertono su argomenti non inerenti al corso di studi scelto e non riflettono il reale livello di preparazione degli studenti. Anche quest’anno sono stati numerosi i casi emblematici che giustificano le motivazioni della contestazione: il quesito inerente i gusti della Grattachecca (specialità di una nota gelateria romana), la richiesta di completare una frase relativa a un post su Facebook del cantante Vasco Rossi, gli errori d’impaginazione, la riduzione del tempo a disposizione a causa di ritardi e disguidi organizzativi, per non parlare del mancato rispetto delle norme che consentono anche ai disabili di provare i test. Proprio in questo periodo, gli “episodi” appena citati sono diventati oggetto di ricorsi da parte dell’UDU, che si è rivolta ancora una volta all’avvocato Michele Bonetti, che collabora con associazioni che svolgono attività a favore degli studenti e presta assistenza legale per le problematiche inerenti il diritto universitario e scolastico. Tutto ciò in attesa che il diritto allo studio sia tutelato dallo Stato indipendentemente dalla necessità di ricorrere ad un criterio selettivo come quello costituito su test d’ingresso.
Lucrezia Bernandini, Marta Fontolan (3B)