Che la forza sia con noi, giovani e non giovani fan di Liam Neeson! Ne avremo bisogno per affrontare una delle ultime imprese cinematografiche del beneamato maestro Qui-Gon Jinn, che nella sua luminosa carriera ha collezionato perle di ogni genere, da “Love Actually” alla recente trilogia dell’uomo pipistrello, da “Star Wars” a “Schindler’s List”.
Proprio la vastissima filmografia (solo sul grande schermo conta quasi una sessantina di pellicole, spesso come protagonista) però racchiude nella sua grandezza certe bassezze che lasciano decisamente perplessi: un esempio è il colossal “Scontro tra Titani”, un film i cui dialoghi sono stati scritti mettendo a disposizione di un centinaio di scimmie un po’ di macchine da scrivere. Oppure il recente “A-Team”, che ha fatto rimpiangere a tutti la vecchia serie tv sgranata.
Ma una delle ultime uscite, datata 2011, le batte tutte; rimettendosi per la seconda volta nelle mani del regista Joe Carnahan, Liam Neeson ha deciso di interpretare la parte del protagonista in “The Grey”, film tratto dal romanzo “Ghost Walker” di Ian Mackenzie Jeffers.
Le premesse non sono originalissime: un gruppo di persone prende un aereo dall’Alaska, l’aereo precipita, sopravvive un numero di persone sufficiente a mettere in piedi due pagine di trama e si ritrovano in mezzo ad un freddissimo nulla, circondati da lupi di dimensioni bibliche che cominciano ad attaccarli. Come se avessero messo nel frullatore “Il richiamo della foresta” e un qualsiasi film americano con un aereo. Tanto in America gli aerei precipitano sempre.
Classico film sulla sopravvivenza in ambiente ostile, e in sala partono le scommesse su quanti ne rimarranno alla fine e su chi verrà ucciso per primo. Di solito il più isterico e molesto del gruppo non sopravvive ai primi trenta minuti, perché è perfetto per far vedere quanto i cattivi possano essere proprio cattivi. Poi è il turno del personaggio simpatico, poi di quello inutile, il cui nome sfugge a tutti. Inutile dire che il protagonista è l’unico a mantenere i nervi saldi e cerca soluzioni intelligenti. Peccato che le strategie del protagonista, in questo film, non siano per niente intelligenti. Il newyorkese medio sa sopravvivere meglio, con o senza lupi famelici.
Passare da un rifugio sicuro ad un bosco dove è impossibile vedere arrivare i lupi; lasciare che un poveraccio con la gamba rotta arranchi in sei metri di neve senza avere la brillante idea, non dico di steccare l’arto con un ramo, ma almeno di dargli un bastone con cui sostenersi o con il quale, nel caso, dare una mazzata ad un eventuale lupo; continuare a fare la respirazione bocca a bocca ad un uomo che annega a causa del piede incastrato tra due rocce invece di sfilargli la scarpa; lasciar morire un compagno che non riesce più a muoversi senza avere il buon senso di riprendersi il suo zaino; dopo due ore di inutili e sofferti pellegrinaggi (attenzione allo spoiler …) finire direttamente nella tana del lupo!
Tralasciando la colonna sonora, di una monotonia soporifera; tralasciando i dialoghi, lunghi, noiosi e privi di qualunque contenuto sensato, così stupidi da risultare persino irritanti; tralasciando anche la recitazione di tutto il cast, compreso il nostro caro Ra’s al Ghul, che non supera l’espressività di un termosifone; tralasciando persino la banalità della trama, che fa di tutti noi dei profeti a colpo sicuro dalla prima all’ultima noiosissima scena; tralasciando a fatica tutto ciò, resta il fatto che nemmeno gli effetti speciali raggiungono la sufficienza, una pecca che nel 2011 è molto grave. Lupi e bufere: i primi dei pupazzoni dai colori improbabili, che passano da un digitale fintissimo (alla “Twilight”) ad una plastica ricoperta di pelo che ne “L’Albero Azzurro” era meno evidente; la seconda, puri coriandoli, che nel giro di una stessa scena spariscono al cambio di inquadratura.
Infine i lupi, circa 120 chili di canide ciascuno, non sono la cosa meno realistica del film: se un uomo mezzo congelato dopo giorni di marcia riesce a saltare un burrone largo quindici metri, allora Liam Nesson potrà smetterla di accettare qualsiasi ingaggio, compresa l’interpretazione delle istruzioni dell’aspirapolvere, e tornare a recitare davvero.
Eugenia Beccalli