Da trent’anni a questa parte i provvedimenti giuridici presi dai governi e dalle istituzioni internazionali come l’Unione Europea sono orientati sempre più verso l’esternalizzazione delle frontiere e un maggior controllo del transito delle persone da uno stato all’altro: basti pensare al graduale disfacimento di Schengen, alla Convenzione di Dublino del 1990 o al nostro caro Decreto Sicurezza. La precarietà dello status della protezione internazionale e le prospettive di riforme, quindi, non possono che confermare una tendenza sempre più forte alla marginalizzazione.
Da tempo ormai il protagonista sulla scena internazionale è proprio ilTrattato Schengen, firmato nel 1985 da 5 paesi e oggi esteso a 26, per un totale di oltre 400 milioni di cittadini interessati. Nato con l’ambizioso obiettivo di stabilire uno spazio comune per la libera circolazione di cose e persone e garantire una maggiore sicurezza, il progetto Schengen negli anni è finito più volte nel mirino delle forze euro-scettiche. Il motivo? Il suoCodice Frontiere prevede che i controlli di sicurezza vengano effettuati solo alle frontiere esterne dell’area: si può circolare liberamente all’interno, a prescindere dalla nazionalità, mentre si viene controllati quando si entra ed esce dall’area.
Ci sono voluti poco più di trent’anni perché il progetto si frammentasse portando ad un drastico ritorno alle origini: dalla Francia alla Germania, dall’Austria fino alla Svezia sono sempre di più gli Stati che chiudono le frontiere interne. E non senza infrazioni. Stando all’art. 25 del Codice Frontiere Schengen, infatti, queste possono essere chiuse per un massimo di sei mesi o, in casi eccezionali, due anni, e il ripristino deve essere comunicato e motivato alla Commissione Europea. Nessuno lo ha ancora detto alla Francia, che ha ripristinato i controlli ormai dal 2015.
Chiuse o meno, le frontiere interne sono spesso luogo di scontro con le autorità. Attraversare la frontiera esterna, però, è un altro paio di maniche: se i cittadini degli stati membri della zona Schengen e i titolari di permessi di soggiorno rilasciati da quegli stati possono circolare liberamente, chiunque altro può soggiornare per un massimo di tre mesi soltanto dopo aver ottenuto un visto rilasciato dal Consolato dello stato in cui desidera andare e superato una rigida procedura che accerti il possesso di alcuni requisiti. Inutile dire che il provvedimento di respingimento è dietro l’angolo.
Oggi, però, il vero problema sono le domande di asilo. Non è detto infatti che un senegalese sbarcato a Lampedusa voglia rimanere in Italia, così come non è possibile che un singolo stato si occupi di esaminare le domande di tutti i migranti che arrivano in Europa. Cinque anni dopo Schengen, l’Unione Europea ha stipulatola cosiddetta Convenzione di Dublino,un accordoche stabilisce i criteri di determinazione dello Stato membro responsabile per l’esame della domanda di asilo a cui il richiedentedeveobbligatoriamente rivolgersi. In altre parole, non è possibile scegliere lo Stato in cui presentare la domanda, ma si è vincolati da determinati criteri di valutazione. La presenza di un parente che risieda o che abbia un permesso di soggiorno in uno Stato dell’UE, per esempio, può determinare il paese a cui un minore non accompagnato o un adulto dovrà rivolgersi. In base a questa norma, una donna sbarcata in Italia avrà il diritto di essere trasferita in Svezia se il marito ha presentato là la domanda d’asilo. Allo stesso modo, il possesso di un permesso di soggiorno o di un visto delega lo Stato che lo ha rilasciato ad occuparsi dell’esame della domandastessa.
La maggior parte dei casi riguarda però gli ingressi irregolari negli Stati dell’UE. Le autorità devono qui fare riferimento allo Stato di primo ingresso, individuabile tramite le impronte digitali presenti sull’EURODAC, una foto segnaletica o un timbro sul passaporto. Un migrante entrato irregolarmente in Italia e a cui sono state prese le impronte all’arrivo, per esempio, potrà essere riportato sul territorio italiano da qualsiasi altro Stato dell’UE.Questa normativa non ha fermato le centinaia di migranti che ogni giorno rischiano la vita nel tentativo di attraversare le Alpi per raggiungere la Francia: partono di notte, nella speranza di evitare i controlli, e salgono fino a 1700 metri di altitudine con 15 gradi sottozero. Ma dall’altra parte c’è la polizia d’oltralpeche li riporta in Italia. È così che la Val di Susa rischia di diventare il nuovo Mediterraneo, lo scenario di una tragedia che si consuma da ormai più di dieci anni.
L’ultima perla del governo giallo-verde, il Decreto Sicurezza, non è che un’ulteriore fattore aggravante di una situazione inaccettabile anche a livello nazionale. Tra le tante misure del Decreto rientrano lo stanziamento di nuovi fondi per i rimpatri (un milione e mezzo per il 2019), l’introduzione di norme che consentano la revoca della cittadinanza e soprattutto l’eliminazione della protezione umanitaria, un permesso di soggiorno di due anni rinnovabile e convertibile in contratto di lavoro entro la scadenza. La protezione umanitaria, che veniva rilasciataai richiedenti asilo in situazioni di disagio e vulnerabilità, era stata introdotta tramite decreto legislativo nel 1998 ed era uno degli esempi di applicazione più importanti dell’articolo 10 della Costituzione Italiana. Dopo il 4 ottobre la norma è stata abrogata e sostituita dai permessi di soggiorno per “protezione speciale”, che hanno validità annuale e in molti casi non possono essere convertiti in permesso per lavoro. Come se non bastasse, vengono rilasciati solo se la Commissione territoriale ritienesussistenti ilrischio di persecuzione o ditortura.Le conseguenze? “Su 18mila permessi di protezione umanitaria concessi da gennaio a settembre nel nostro Paese, solo una minoranza potrà continuare a seguire un percorso di integrazione virtuoso all’interno dei centri SPRAR” ha detto il policy advisor per la crisi migratoria di Oxfam Italia Giulia Capitani. Nel giro di pochi giorni le Prefetture hanno ordinato ai centri di accoglienza straordinaria la cessazione immediata dell’accoglienza dei titolari di protezione umanitaria e 12mila migranti tra quei 18mila sono stati gettati in strada.
Il grande paradosso del Decreto Sicurezza sta proprio nel nome: dove ci sono abbandono, ostilità e disinteresse come possono esserci più garanzie e sicurezza? Non sono proprio questi i fattori che contribuiscono all’aumento della criminalità organizzata, dei conflitti sociali e della povertà?
Il crescente aumento dei rigetti e la tragedia quotidiana che si consuma alle frontiere sono le conseguenze di un’ormai snaturata idea di libera circolazione in Europa e la direzione seguita dalle normative nazionali ed europee degli ultimi anni non può che formalizzare una tendenza sempre più forte a rinchiudersi e allontanare il diverso. Fino a che punto potrà spingersi l’Unione Europea? Gli accordi internazionali per la gestione dei flussi migratori nella realtà dei fatti non trovano compatibilità con le norme che tutelano i diritti umani, né si pongono come primo obiettivo la loro garanzia. Quel che è poco ma sicuro è che il rischio di incoerenza in avvenire è già un dato di fatto.
Elena Catalanotto