Adolf Hitler fu il più grande artista della normalità. Plasmò con pazienza e dedizione la sua creatura: il popolo tedesco. Come un contadino estirpa la gramigna dal suo campo, così il Führer estirpò dal suo Reich i diversi: ebrei, pazzi, disabili, dissidenti. Certo, altri prima e dopo di lui hanno tentato di eguagliarlo: Stalin, Mao, Pol Pot. Mai nessuno, però, lo ha superato: Nazismo e Comunismo non sono riusciti ad eliminare la diversità. Il Capitalismo, invece, sta riuscendo in questa impresa. Gli strumenti sono di fondamentale importanza: Lager e gulag si sono dimostrati inefficaci, mentre la TV si è rivelata un mezzo vincente. Nazismo e Comunismo hanno tentato di creare delle persone “normali” attraverso l’intolleranza, il Capitalismo attraverso la tolleranza. Questo termine così spesso invocato da politici, giornalisti e commentatori si rivela, però, profondamente meschino. Infatti, tollerando si crea inevitabilmente un rapporto diseguale fra chi tollera e chi è tollerato: i “normali” tollerano i “diversi”, la maggioranza la minoranza. I più si caricano del peso di dover accudire o sopportare, ma si riservano di cessare questo atto di clemenza in qualsiasi momento. Pensiamo ai fatti avvenuti recentemente nella nostra città che hanno visto i rom vittime dell’intolleranza. Una ragazza sostiene di essere stata stuprata da due zingari e diventa impossibile continuare a sostenere quel peso: scatta la violenza. La tolleranza non è la pace, ma un armistizio. La diversità, secondo i regimi nazicomunisti, si basa essenzialmente su elementi razziali, religiosi, fisici o mentali e viene corretta con l’educazione. Il regime capitalista punta, invece, all’uniformità di pensiero ed alla creazione di masse. Chi è fuori è diverso e viene quindi emarginato: si pensi al grande numero di anziani e malati che al giorno d’oggi sono lasciati soli. Nella nostra società si creano anche gruppi che fanno della loro diversità dalla massa un elemento di identificazione e superiorità. Sandro Penna scrive, a tal proposito: “Felice chi è diverso / essendo egli diverso. / Ma guai a chi è diverso / essendo egli comune.” Se anche la tolleranza non è il metodo corretto per capire ed apprezzare la diversità altrui, qual è la via giusta da intraprendere? La soluzione si trova nelle poche parole del Vangelo secondo Matteo: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. L’unica possibilità di comprendere l’altro è amarlo, perché solo attraverso l’amore si può superare l’egoismo che inevitabilmente fa da fondo sia all’intolleranza, sia alla tolleranza. Chiunque voglia realmente capire la diversità deve anche fare proprio il motto dell’Unione Europea “In varietate concordia – Unità nella diversità”. Sono state spese tante, forse troppe, parole su come comprendere e trattare il diverso, ma ne bastano solo tre: amore, unità e concordia.
Valerio Pace (3D)