Con la matita, che per la cronaca tengo al contrario, faccio cerchi concentrici sulla scrivania. Potrei facilmente disegnarli, ma non mi passa neanche per l’anticamera del cervello. La scrivania è tutto, tranne che intatta, pulita, senza graffi; una scrivania che ha visto di tutto e attraversato la crescita di tre persone, di epoche e abitudini diversissime. Ma il fatto di disegnare senza segni è come un tic, ormai: lo faccio pure a scuola, così, tanto per far passare le lezioni, tutte odiosamente uguali. Disegno senza segni, in modo tale che i disegni siano liberi e non costretti a restare impregnati e immobili nel legno. Perché essere liberi è la cosa più cara e importante del mondo.
Io, però, ultimamente libera non lo sono. E non intendo la libertà materiale, che non ha nessuno a pensarci bene. Intendo la libertà nella mente. Ed è proprio la mia mente che sta qua, inchiodata sulla sedia, in attesa che mia madre si ricordi che esisto e mi chiami per cena. Ma stasera per una volta spero non mi chiami, non subito. Spero mi lasci sognare ancora cinque minuti in più: un sogno bellissimo, fatto di sorrisi e pensieri sussurrati di nascosto.
Questa serata è perfetta, gatta sulle gambe, sorriso lieve sulle labbra, tazzina di caffè abbandonata mezza piena, avvolta nel mio caos. La luce nella mia stanza è perfetta. Il profumo delle mie candele è perfetto. Eppure, in questa perfezione assoluta, così zen, io sono tanto, tanto confusa. Attorno a me c’è un equilibrio tale che nella mia testa c’è solo disordine. E riecheggia di continuo un nome; anzi no, non è un nome qualsiasi: è il tuo nome.
Tu che hai gli occhi dolci e il sorrisetto strano, un po’ abbozzato, quasi si nascondesse, e con tanto di fossette asimmetriche, perché sai, ne hai tre da una parte e quattro dall’altra. Tu, che a guardarti bene magari lo capirei, ma che, cecata come sono, non ho ancora capito se sei tu che hai le lentiggini o io le allucinazioni. Tu e la tua sottospecie di crocchia arruffata, che su chiunque farebbe ridere, ma che ti rende una luce nel buio. Tu, che a volte – miracolo – mi parli, inconsapevole. Tu, che mi fai sorridere. Tu, che non mi fai sorridere. Tu, che ogni tanto incrocio. Tu, con le mie parole vuote. Certo, esistono pure le parole piene, ma mi fanno troppa paura, e in più non servirebbero proprio a niente. Anche solo perché c’è sempre qualcuno che arriva prima di me. Oppure, quando non c’è, di sicuro poi arriva, in corsa, ed ecco che mi scavalca, lasciandomi come i ciottoli per strada, quelli che la gente calpesta e prende a calci senza farci caso.
“Sono problemi tuoi, resta nei tuoi sogni”- dovrei dirmi. Ed è così che faccio, perché questo si vuole che faccia, perché tanto la verità è una: la vita va avanti come un treno. Non le importa delle tue passioni, dei tuoi sentimenti; non le interessa se quella persona, proprio quella persona, la stai sognando. Perché di quello che vuoi tu, alla vita importa ben poco. Devi adattarti: sopportare in silenzio i tuoi schiaffi e tutte le tue “tu” e poi soccombere. Irrimediabilmente.
Oppure, se ce la fai, ti sposti in tempo, e lasci che l’onda affoghi qualcun altro.
Stella Camilla Brao