Ed ecco, finalmente il freddo vola via e i ghiacci cominciano a sciogliersi. Lunghi fiumi di acqua limpida corrono sul terreno stanco. Così questo percorso comincia ad essere scavato e questa storia inizia ad essere scritta.
Sembra ieri la prima volta che entrai in questo paese. Ricordo ancora l’emozione pesare sul mio petto a tal punto da farmi tremare le gambe. Dallo spazio ristretto dell’aereo mi ritrovai nel bel mezzo dell’immensa metropoli che è Shanghai. I palazzi si ergevano verso l’alto e più li osservavo più mi sembrava che si muovessero verso il cielo grigio intossicato dall’inquinamento. Ora, varcando di nuovo il portale verso quest’immensa dimensione, quale è la Cina, ho riconosciuto l’ambiente, le abitudini, gli odori. Sembra tutto come lo avevo lasciato, in effetti, tralasciando qualche zona ristrutturata e la facilità con cui i grattacieli di fronte al Bund siano raddoppiati, innaffiati dalle piogge appiccicose del periodo di fine estate.
La città è la stessa ma i miei occhi sono cambiati, osservo la vita in modo diverso, accetto la sofferenza, l’ingiustizia e la bellezza alla stesso modo perché tutte parte di una realtà. Ho visto donne sedere su cartoni per le sottovie della metropolitana, che componevano bracciali di fiori di gelsomino. La loro attenzione era completamente su quelle minuscole palline di boccioli profumati. Il loro sguardo, così rilassato, dava un senso di tranquillità nella metropolitana affollata che porta in centro. Come se tutto il rumore, tutta la confusione e tutta la fretta scomparissero.
La sveglia impostata per le prime ore della mattina. Incomincio a percepire la coperta scivolare sulle dita dei piedi; sento la corrente fredda dell’aria condizionata solleticarmi la mano che pende dal letto. Passa qualche minuto prima che sia pienamente consapevole di essere sveglia. Lentamente mi preparo e mi avvio verso la porta per lasciare libera la stanza di albergo che era stata mia per quei quattro giorni. Si parte. È il giorno ufficiale dell’inizio di una nuova esperienza. Davanti a me sette intense ore di viaggio a bordo di un treno che taglia l’aria, lasciandola scorrere via, insieme ai pensieri della nazione appena lasciata. Con passi affaticati dal peso dei grandi bagagli raggiungo il mio posto, incredula di essere nella prima classe. Sedili pieghevoli della dimensione extra-large, grandi finestre affacciate sul monotono paesaggio paludoso.
Il paese che prima mi sembrava solo un contrasto tra povertà e ricchezza sta aprendo i suoi petali; mi sta mostrando i profumi e le varietà del suo interno. Ogni ape che poggia su questo fiore è la benvenuta e lo sarà sempre. I sorrisi delle persone basterebbero a renderti parte di loro, parte di questa città, parte di questa nazione. Ma le loro parole, i loro gesti ed i loro regali fanno sentire il posto tuo, ti fanno provare amore incondizionato, e questa è la chiave di una vita felice e pacifica, in perfetta armonia con il mondo. Il mio orecchio incomincia ad abituarsi ai rumori della città. Biciclette, macchine, clacson che suonano ininterrottamente, motorini. Ogni giorno mi sembra di aver conosciuto tutto, e ogni giorno mi rendo conto di conoscere poco o niente, scoprendo una caratteristica diversa delle persone che mi circondano. Persino i venditori per la strada hanno una storia da raccontare, un sorriso da mostrare.
Tuttavia dare un giudizio rispetto alla Cina sembra essere impossibile. Dietro tanta bellezza c’è tanta ingiustizia. Vedo la vita dei miei coetanei procedere secondo uno schema. Ogni giorno seguire un programma definito, da quando iniziano a studiare la mattina alle 6.40 fino a quando finiscono di fare i compiti alle 22.40. Obbligati dalla coscienza di rispettare ogni regola vivono nei banchi di scuola, come macchine. Imparano a ripetere a memoria nozioni di varie materie ma non gli viene data l’opportunità di riflettere, di pensare, di scegliere. La loro vita è manovrata dall’alto, da un sistema dittatoriale in vigore da troppo tempo ormai. Ogni azione, ogni insegnamento sembra avere lo scopo di placare e prevenire qualsiasi tipo di rivolta. Osservando tutto ciò, però, non riesco ancora ad accettare che la bellezza di ognuno di loro possa essere nata dal marcio di una nazione, dalla sua debolezza, da un uomo nutrito di potere. Ragazzi quindicenni che parlano del valore dell’amicizia, del lavoro di squadra. Ragazzi che si assumono le proprie responsabilità dopo aver commesso un errore o per aver preso un brutto voto. Ragazzi che si incoraggiano a vicenda per non cedere anche alla più grande delle difficoltà e che prendono una sconfitta come uno stimolo per fare meglio la volta successiva. Come possono caratteristiche e valori così alti nascere dall’ingiustizia di una dittatura? Sono ancora tanti i punti interrogativi riguardo a questa nazione, e tanta è la tristezza che a volte invade i miei pensieri guardando questo mondo. Ora posso solamente procedere per queste vie, mentre riordino i miei pensieri, i miei quesiti. Proverò a capire per raccontare.
Un viaggio non è solo preparare i bagagli, non è solo attraversare mari e oceani per raggiungere una destinazione. Viaggiare è pazienza, riflessione, ricordo. Viaggiare è amore, un amore che porta speranza. La speranza è la forza che ognuno di noi accende nel più profondo dell’anima per poter avere uno spiraglio di luce anche nell’oscurità della propria vita.
Viaggiare è difficoltà. Viaggiare significa conoscere se stessi e rendersi conto di cosa si è capaci.
La sfida più grande è accettare un biglietto gratis direzione se stessi.
Elena Cuatto (4H) – corrispondente da Shanghai