Si pensi ad un’isola. Si pensi ad un’isola in cui ogni giorno vengono accolte centinaia di immigrati. Si pensi ad un’isola che è spesso sui quotidiani. Quotidiani nazionali e non. Potrebbe venire in mente l’isola di Lampedusa. Adesso si pensi a ciò che è successo su quell’isola. Qualcosa da far rabbrividire. Qualcosa da far vergognare. Potrebbe venire in mente il rapporto di Amnesty International riguardante “l’approccio hotspot”. Un approccio adottato per consentire l’identificazione mediante le impronte digitali di migranti e rifugiati al momento dell’arrivo. Si potrebbe parlare delle numerose testimonianze di maltrattamenti presenti in quel rapporto. Testimonianze come quella del sedicenne sudanese che ha rivelato di essere stato colpito più volte con un manganello elettrico. Testimonianze di umiliazioni sessuali e pestaggi, come quella subita da un uomo di 27 anni e da una donna di 25.
Ecco. Adesso ci si sposti nell’altro emisfero. Si pensi ad un’isola del Pacifico. Quale sarebbe la vostra reazione se vi venisse detto che qualcosa di analogo e, anzi, peggiore sta succedendo anche lì?
Da alcuni anni il governo australiano trasferisce le persone che tentano di arrivare illegalmente nel territorio sull’isola di Nauru. Una piccola isola che viene annualmente finanziata per “accogliere” gli immigrati. Circa una quindicina di anni fa è stato infatti istituito un centro per la detenzione temporanea dei migranti richiedenti asilo nel paese. Un centro che, secondo recenti documenti entranti in possesso del ‘The Guardian’, è risultato essere un luogo di orrori e atrocità. Il quotidiano britannico ha, infatti, riportato le condizioni di vita degli immigrati. Essi vivono stipati in tende di vinile e sopportano le peggiori temperature climatiche. Temperature che, d’estate, possono raggiungere anche i 45-50 gradi. I problemi riguardano anche la sanità. La situazione è peggiorata a causa dell’insufficiente livello di igiene e di cure mediche offerte. Non mancano, come se non bastasse, i casi di violenze, abusi e molestie sessuali. Bambini schiaffeggiati e minacciati di morte. Bambine a cui vengono concesse docce più lunghe in cambio del consenso di essere osservate. Donne a cui vengono fatte offerte sessuali e le cui denunce di stupro agli assistenti culturali non vengono neanche prese in considerazione. Donne a cui l’unico consiglio che viene dato è quello di dimenticare l’accaduto.
Ciò che può impressionare ancora di più sono gli atteggiamenti assunti dal governo australiano durante e in seguito alle indagini condotte e, soprattutto, le reazioni e le azioni degli immigrati. Il primo ha infatti cercato di nascondere il più possibile la situazione, vietando a ispettori dell’Onu e giornalisti l’accesso al campo. Quando la verità è venuta a galla, ha respinto e criticato le accuse di violazione dei diritti umani mosse da Amnesty International e da altri gruppi di difesa. Per quanto riguarda i secondi, sono stati riportati segni di disagio mentale e depressione tra adulti e, soprattutto, ragazzi. Alcuni hanno preferito suicidarsi piuttosto che vivere in quell’inferno. Altri hanno compiuto atti di autolesionismo per protesta. Ne sono un esempio la bambina che si è cucita le labbra o il ragazzo iraniano che si è dato fuoco durante la visita di tre ispettori.
In seguito a numerose proteste e manifestazioni in difesa dei diritti umani, l’Australia ha finalmente dichiarato che il centro verrà chiuso. Non ha, tuttavia, specificato i tempi, le modalità e le sorti delle centinaia di richiedenti asilo presenti in esso. Tutti dettagli molto importanti a causa delle severe politiche sull’immigrazione adottate dal governo.
E’ triste, tuttavia, pensare a come lo stesso errore, o orrore, possa essere accaduto in più parti del mondo. E’ triste pensare a come il diritto e dovere di aiutare chi ha bisogno si sia trasformato in una libertà di fare ciò che si vuole. E’ triste pensare di aver infranto i sogni di chi, partendo, sperava di trovare una vera vita. E’ triste pensare di aver mostrato loro una realtà che non sembra per nulla migliore di quella da cui sono scappati.
Mentre si aspetta e si spera che la situazione cambi, potrebbe venire in mente quel indovinello: cosa porteresti con te su un’isola? Probabilmente in questo caso sarebbe necessario un briciolo di umanità. E non solo.
Elena Parodi (4B), corrispondente dall’Australia