Un mondo fittizio

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Ul mondo di Escher

Il mondo di Escher

Sto sinceramente cominciando a pensare che la nostra non sia una semplice vita.

Passiamo minuti, ore e, a volte, anche giorni interi a ripetere all’infinito un’azione che per strada, negli affollati appartamenti del centro, tra gli alberi di un bosco o, più genericamente, ovunque, anche tutti gli altri stanno praticando.

Se chiamarla fuga o voglia di volare non lo so.

Il concetto resta identico. Ci rintaniamo nella realtà animata del cinema o della lettura per divertimento, per piacere personale, voglia di istruirsi o di passare una serata. Ascoltiamo musica di tutti i generi e di tutte le nazionalità per trovare forti emozioni, per poter vivere meglio.

Hobby, sport, ricerca di prodotti in vendita che si addicano al nostro spirito, tentativo di entrare a far parte di questa o quella categoria di persone.

Intenzioni tanto quotidiane ed abitudinarie che quasi sembra che il vero motivo per cui siamo portati verso di loro ci sfugga di mano costantemente.

E, mi chiedo, se stessimo fuggendo?

Fuggendo dalla realtà di tutti i giorni, in cerca di qualcosa, qualunque cosa, purché non sia totalmente reale?

“Sicuramente mi sto sbagliando”, urla a gran voce la parte del mio cervello ancora legata a questo mondo. Sicuramente non è vero. Il voler provare appaganti emozioni non ha nulla a che vedere con la fuga ipotetica da questo mondo. Si tratta solo e soltanto di un altro dei modi per godersi la vita.

Ma se non fosse così? L’uomo ha la strana capacità di riuscire a scovare la più profonda sofferenza in ogni cosa, che lo voglia o no, mettendosi anche d’impegno. Quando il dolore non è fisico, diventa morale. La paura, la condizione di sofferenza eterna, la sottomissione, il male dell’uomo dal quale non si può fuggire. Tutte concezioni e riflessioni ideate unicamente ed originalmente dal nostro subconscio. Dalla nostra capacità di mettersi a riflettere. Non sono di certo le bestie a soffrire mentalmente. Ad avere nostalgia dei tempi passati ma non personalmente vissuti. A tentare di sottrarre a se stessi il libero arbitrio, attribuendolo ad entità maggiori, al destino o al caso.

È bello che l’uomo possa disporre di tanta razionalità.

Ma dopo un po’, quel che resta è solo paura, dolore. Se si innesca un’idea nella testa di un singolo, superata la prima fase di assimilazione e filosofia, essa lo farà star male. Sì, questa l’ho presa da un film con Di Caprio. Ma il concetto resta uguale.

A quel punto, quando la nostra mente è martoriata dalla sofferenza immaginaria, non ci resta che fuggire. E lo facciamo ricreando attorno a noi mondi fittizi dove il vivere è bello, dove le grandi emozioni ci distolgono dai problemi materiali. Chi non arriva alla droga, chi non cede alla tentazione, si accontenta di veder ricostruita la magia dell’esistenza in una canzone, in un obiettivo, in un qualcosa da fare.

Ecco. È un concetto tanto complicato, che persino io stento a credere di aver anche solo provato a metterlo per iscritto. E ora che l’ho fatto, non sono sicura di riuscire io stessa a capirlo. È stata più un’illuminazione, più un semplice attimo di comprensione che un lungo ragionamento.

Senza sapere il perché, sono convinta che stiamo tutti sfuggendo alla sofferenza, chi in un modo, chi nell’altro. Una sofferenza causata da noi stessi.

E, paradossalmente, ciò ci conduce al costruire il divertimento più puro, quello ideato perché ci si scordi, anche solo per un attimo, del male dell’uomo. Della sofferenza del pianeta.

Se sia giusto o sbagliato scegliere di volare quando chi resta coi piedi a terra si rende conto dell’esistenza crocifissa, non sono io a dovervelo dire.

Nel frattempo, è necessario vivere la vita.

Viverla al meglio.

 

Carlotta Pavese (2D)

 

Escher

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