“Il prezzo da pagare è alto, ma ne vale la pena!”
San Mauro Torinese – L’Italia è, ultimamente, un Paese fortemente criticato sia dagli Italiani stessi, autocritici e quasi rassegnati, sia da coloro che la osservano dall’esterno. C’è chi ne lamenta la crisi economica, chi quella finanziaria, chi si affligge per le scelte dell’attuale governo e chi s’abbatte per l’apparente decadenza culturale. Spesso però non si è a conoscenza delle opinioni di chi l’Italia la vive, di chi la vede da fuori, scegliendo poi di venirci ad abitare. Di chi con gli Italiani ci convive e di chi, Italiano, è per varie ragioni distaccato da quella che può essere la cultura “nazionale”.
Per questo motivo ho deciso di intervistare la famiglia Canarutto Jama Halane, felice connubio di nazionalità, culture e religioni diverse: una famiglia “straordinaria” insomma, composta da un padre italiano ebreo, una madre somala musulmana, una figlia e due figli italiani dalla carta d’identità italiana, ma cittadini del mondo nel cuore.
Com’è essere ebrei in un Paese a maggioranza cattolica? Esiste ancora la discriminazione religiosa?
La società italiana – comincia a rispondere il Signor Canarutto – affonda le sue radici nelle tradizioni cattoliche ed è ancora oggi fortemente caratterizzata dalla presenza del Vaticano all’interno dei nostri territori. Nel nostro Paese prevale una filosofia di parrocchia, che sicuramente condiziona la carriera di chi non condivide o semplicemente non fa parte di questi meccanismi di potere. Per poter raggiungere gli stessi obiettivi di coloro che di questi schemi fanno parte, chi non li accetta fatica di più: bisogna dunque essere intraprendenti e non lasciarsi né condizionare, né scoraggiare. Se da un lato è possibile andare avanti senza accettare una certa logica del sistema, talvolta quasi obbligati, dall’altro non si può fare a meno della convivenza e del compromesso.
Crede che la situazione cambierà?
Siamo un Paese in crisi. La gente è stanca e l’Italia va sicuramente svecchiata: sono sicuro che le cose cambieranno, in quanto problemi del calibro di quelli attuali spingono la gente ad agire, a cercare una soluzione. Sicuramente il nostro Paese vivrà un’evoluzione socio-culturale, della quale però ignoro la natura.
Che cosa l’ha spinta a lasciare la Somalia, la sua terra natale?
Oh, è una lunga storia! – dice sorridendo la signora Jama Halane – Mio fratello si stava specializzando in Agraria all’Università di Napoli. Mentre lui si trovava già in Italia, suo figlio, che era rimasto in Somalia si è gravemente ammalato: rischiava di perdere gli occhi e l’unica soluzione era quella di farlo operare o in Kenya o in Occidente. Ho deciso dunque di portarlo a Napoli, da suo padre. Dovevo rimanere per un paio di mesi, giusto il tempo necessario per imparare un po’ d’Italiano. Poi però, nel 1990, è scoppiata la guerra in Somalia e non ho avuto altra scelta, se non quella di fermarmi qui, anche perché avevo conosciuto lui – si ferma la signora ed indica il marito.
Com’è stato integrarsi all’inizio? E ora?
Non posso di certo dire che sia stato facile e il processo di integrazione continua ad essere lento. Ho frequentato un’università Cattolica, nonostante sia di religione musulmana, dove l’accoglienza è stata abbastanza buona. Ora ho un’occupazione stabile e mi sento relativamente integrata perché purtroppo bisogna adattarsi a certi atteggiamenti poco simpatici che alcuni Italiani sono soliti avere.
Per esempio?
Ancora oggi, quando cammino insieme a mio marito, la gente ci guarda stranita. Gli sguardi stupiti non arrivano soltanto da persone mature, ma anche da giovani. È curioso come in compagnia di mio marito mi diano con naturalezza del Lei mentre, al contrario, quando sono da sola nei negozi più facilmente subentri il tu. Quando porto a passeggio i miei figli più piccoli, che hanno la carnagione più chiara rispetto alla mia, mi chiedono sovente se io sia la loro baby-sitter …
Se potesse tornare indietro verrebbe ancora in Italia?
Sì, sicuramente mi interesserebbe venirci per visitarla, ma non credo che sceglierei di rimanerci: la mia è stata una scelta quasi obbligata, causata da una guerra sanguinosa e da una Patria che non avrebbe più potuto garantirmi la sicurezza di cui ogni individuo ha bisogno.
Qual è la concezione che i Somali hanno degli Italiani?
Generalmente gli Italiani sono apprezzati per la loro cultura, il loro modo di fare. Non si pensa però agli Italiani come mariti o alle Italiane come spose. Siamo attratti dal vostro stile di vita ma al tempo stesso non siamo convinti della nostra compatibilità culturale. D’altra parte non è da dimenticare però che, spesso e volentieri si accusano gli Italiani, quali ex-colonizzatori, di esser a causa dei conflitti politici che attualmente stanno aprendo le vene del mio Paese.
La curiosità tuttavia è un’altra: come possono convivere una donna musulmana ed un uomo ebreo senza scontrarsi? O meglio, come ci siete riusciti?
Dal punto di vista delle tradizioni religiose lo scontro tra islam ed ebraismo è molto più “soft” rispetto a quello che potrebbe esserci tra islam e cristianesimo ed ebraismo e cristianesimo. Per entrambe le religioni, infatti, viene attuata la circoncisione, il padre ha un valore fondamentale e riveste un ruolo centrale all’interno dell’intera famiglia, mentre la madre ha il compito importantissimo di educare i figli. In tutti e due i casi, inoltre, l’interpretazione delle Sacre Scritture è libera: sia il Rabbino che l’Imām sono semplicemente organi consultivi, in quanto il rapporto con Dio è diretto.
Da quanto dite sembrerebbe dunque possibile una convivenza pacifica tra Israeliani e Palestinesi. Come la pensate a riguardo?
Per quanto riguarda la questione israeliana, il discorso è molto più ampio: si tratta di questioni di sicurezza, di sfruttamento delle risorse e di occupazione territoriale. L’unica vera soluzione, quella che placherebbe la guerra, è la suddivisione dei due popoli in due Stati distinti. Con il tempo il conflitto si risolverà, ma ovviamente non possiamo predire in che modo. Possiamo solo sperare che le vittime non continuino ad essere così tante come è stato fino ad ora.
E dal punto di vista educativo, invece, cosa cercate di trasmettere ai vostri figli?
I nostri figli vengono educati secondo le due differenti culture presenti all’interno della nostra famiglia: dai corsi di Ebraico alla lettura del Corano, senza tralasciare la cultura italiana.
E tu Iris, che di quest’educazione particolare sei la destinataria, cosa ne pensi?
Il metodo educativo che stanno seguendo i miei genitori è secondo me quello più corretto: mi stimolano al confronto e alla vita pratica e mi aiutano a crescere interiormente, a non farmi condizionare dai fattori esterni e ad essere me stessa. Devo poi ammettere che le tradizioni alle quali i miei genitori appartengono non sono poi così contrastanti: quando ho incontrato per la prima volta la mia nonna materna in Canada mi aspettavo un tipico pranzo somalo, invece ci siamo riuniti intorno ad una tavola imbandita di piatti occidentali. La globalizzazione riesce dunque, in un certo qual modo, a rendere l’integrazione più semplice, ma con questo non voglio certo dire che per poter integrarsi sia necessario rinunciare alle proprie abitudini: è sì necessario adattarsi all’ambiente in cui viviamo, ma non dobbiamo però dimenticarci delle nostre radici.
Sei mai stata in Somalia?
No, purtroppo no. Anche in questo caso è la guerra a renderlo impossibile. Come ho già detto però, ho potuto conoscere però alcuni dei miei parenti: molti sono emigrati negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Canada, per cui vederli è relativamente più facile. Una zia si è invece spostata in Arabia Saudita, dunque le possibilità di incontrarsi sono davvero poche viste le condizioni socio-politiche del Medio Oriente. Devo confessare però, che il desiderio di poter visitare la terra natale di mia madre è forte …
Come te la immagini?
Beh … mia madre me la descrive come un Paese idilliaco, dove vige l’armonia tra le varie famiglie: una nazione quasi bucolica. Leggendo i giornali e vedendo i filmati in televisione mi rendo conto che la vera Somalia è quella descritta nei libri di storia, anche se sinceramente non riesco ad immaginarmela in modo chiaro.
Credete nella possibilità di una futura tolleranza totale nei confronti di ciò che è diverso e che, soprattutto, rappresenta una minoranza?
L’Italia è il Paese delle formalità, per cui sono abbastanza scettico visto il forte potere esercitato ancora oggi dalla Chiesa – afferma senza peli sulla lingua il signor Canarutto – Credere in una totale tolleranza sarebbe utopico, ma pretendiamo di avere le stesse opportunità che hanno gli altri cittadini.
Come rispondete a chi non è disposto a concedervele?
Sinceramente guardiamo a noi stessi, al nostro benessere e agiamo nel rispetto di chi ci circonda. Esigiamo però che quest’atteggiamento sia reciproco, perché anche se seguiamo le regole collettive non significa che ci riconosciamo all’interno della massa. Il prezzo da pagare per essere diversi, dal punto di vista ideologico, sociale e culturale, è alto, ma vale la pena pagarlo!
Stefano Castello (5D)