Una macchia nera nel blu

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Il 20 aprile 2010, al largo delle coste della Louisiana nel golfo del Messico, durante le realizzazione di un pozzo per la Bp sulla piattaforma petrolifera Deepwater Horizons, di proprietà dell’elvetica Transocean, si innesca un esplosione che distrugge i tubi nelle profondità marine e libera nell’oceano un’immane quantità di petrolio.

 Nonostante l’impegno nel domare l’incendio dei soccorritori, nell’arco di quarantotto ore la struttura della stessa piattaforma cede a causa dell’immenso calore e sprofonda nel blu, portando via con sé undici vite umane. Il pozzo crollato lascia colare ogni giorno 5000 barili di petrolio nel mare.

Sino ad oggi, il danno economico ammonta a 1,3 mld di dollari, ma si prevede che il totale raggiungerà l’esorbitante cifra di 3,6 mld di dollari, una somma che la Bp sarà costretta a pagare per arginare i danni del disastro. La Bp intanto ha visto crollare il suo titolo in borsa del 17% dal 22/4 ed il prezzo del greggio è sceso di 1 dollaro al barile in un giorno, raggiungendo la quota di 85 $.

La grande macchia nera che intanto si è formata nel golfo del Messico (grande quanto Piemonte, Lombardia e Liguria messi insieme) sta velocemente stravolgendo il delicato ecosistema marino della regione, portando alla morte di migliaia e migliaia di  animali, quali uccelli marini, pesci, tartarughe, alcune delle quali a rischio di estinzione, come le tartarughe Kemps Ridley. Più di cinquemila delfini sono intrappolati nel golfo del Messico così come colonie di cormorani, anatre, fenicotteri, pellicani, ostriche, gamberi, tonni e trote, che si ritrovano a essere le vittime del peggiore disastro ambientale della storia americana. Oltre al danno sulla fauna, anche l’economia locale risente dell’incidente: i pescatori della Louisiana vedono svanire davanti ai loro occhi la loro principale fonte di sostentamento e si preparano a sostenere una causa collettiva contro la Bp, che con molte probabilità si ritroverà a dover risarcire pure loro.

Secondo le previsioni, gli effetti sull’ambiente e sull’economia di questo disastro si perpetueranno per i prossimi 50 anni.

Per affrontare i danni dell’isola di petrolio, il governo americano si è messo subito al lavoro, piazzando barriere galleggianti, gettando a tonnellate solventi chimici e bruciando il petrolio galleggiante; inoltre ha proceduto con la costruzione di una ciclopica cupola in acciaio e cemento, pesante 40 tonnellate e alta 12 metri, che ha già coperto la falla, profonda 1500 metri. Certo, l’azione della sola cupola non basterà a fermare la fuoriuscita, ma faciliterà i lavori. L’unico metodo sicuro per fermare la perdita sarebbe quello di scavare un altro pozzo a fianco e farci colare grandi quantità di cemento, in modo da tappare il buco, ma questa operazione, fatta a un migliaio e mezzo di metri sotto il livello del mare, durerà tre mesi. Ed in questi tre mesi, inevitabilmente, la grande macchia nera si ingrandirà e giungerà sino alle coste, causando una gravissima perdita per la biodiversità della Terra ed ingenti danni economici.

 

Pouya Houshmand (1E)

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