Il coraggio estremo è ciò che caratterizza un eroe. Gli eroi sono presenti nella nostra cultura dall’inizio dei tempi. Achille, Odisseo, Ercole… uomini valorosi, spesso di sangue divino, intrepidi, forti, belli. Che combattono. Forse però non c’è bisogno di spingersi tanto lontano per trovarne di nuovi, né bisogna cercare tra i re, tra i potenti o tra coloro che governano, forse basta guardarsi intorno, è possibile che anche una persona normale, di origini umili, né forte né con una bellezza fuori dal comune sia degna di essere definita “eroe”.
Desmond Thomas Doss non è nato in una famiglia ricca, non ha combattuto una guerra gloriosa e non ha avuto una morte eroica, eppure nessuno può negare che non sia degno di essere definito tale. La sua vita comincia in Virginia, a Lynchburg, Stati Uniti, nel 7 aprile 1919, l’anno successivo alla fine della Prima Guerra Mondiale. Una cosa è importante per lui: la fede cristiana. Fa parte della chiesa cristiana avventista del settimo giorno e viene educato dalla madre alla non violenza. Tuttavia, quando Desmond ha appena vent’anni la Seconda Guerra Mondiale scoppia. I giovani vengono reclutati nell’esercito per combattere contro il Giappone e, dopo l’arruolamento di suo fratello Harold Doss, Desmond si vede costretto a seguire le sue orme. Nonostante la contrarietà dimostrata dal padre, anch’esso ex militare, decide di entrare a far parte dell’esercito americano nel 1942. È disposto a scendere su un campo di battaglia, ponendo una sola condizione: non venire meno ai suoi principi e alla sua fede. Non ha alcuna intenzione di portare con sé armi, né tantomeno di uccidere i nemici. La sua intenzione è quella di operare come soccorritore militare. Deve affrontare però numerosi problemi: durante l’addestramento i suoi compagni lo deridono dandogli soprannomi come “Santo Gesù” e lo tormentano tirandogli scarpe ed altri oggetti nel mezzo della notte. A causa dei suoi numerosi rifiuti di impugnare le armi il Capitano Cunningham minaccia di portarlo davanti alla corte marziale, senza poi riuscirci, rendendogli la vita un vero inferno. Nonostante le persecuzioni Desmond mantiene salda la sua volontà senza mai cedere. Come obiettore di coscienza riesce infine ad ottenere il permesso di scendere in capo senza armi ed è questo il primo motivo per cui può essere definito “eroe”. Non esistono gesti più coraggiosi che affrontare nemici armati senza alcuna difesa e invece resistere con forza a coloro che dovrebbero essere alleati ma che “torturano” cercando di far cambiare le proprie idee. O magari esistono … Ciò che compie in battaglia è forse anche più eroico. Quando l’addestramento finisce, la sua squadra è inviata ad Okinawa, dove da giorni i soldati combattono. Un fitto fumo causato dai colpi dei cannoni americani rende impossibile scorgere i nemici. La battaglia si svolge sulla scarpata di Maeda, detta anche Hacksaw Ridge, inespugnabile e difficilissima da raggiungere. Ogni giorno i compagni americani sono costretti a salire reti da carico per raggiungere la cima ed ogni giorno vengono sconfitti e sono costretti a ritirarsi scendendo dalla rete. Purtroppo, però, non tutti rientrano. Il campo di Hacksaw Ridge è disseminato dai cadaveri di coloro che non sono riusciti a tornare. È mattina quando la squadra di Desmond si unisce ai soldati sopravvissuti. Il compito del giovane obiettore di coscienza – così definito per la decisione presa di non portare armi – è essere il nuovo soccorritore militare. Lo scontro comincia, ed è terribile. Morti ovunque, sangue, terra, pietre e armi. I nemici sparano, gli alleati rispondono al fuoco. E Desmond corre, raggiunge i compagni che gli chiedono aiuto, tampona le loro ferite e li rassicura, si muove tra i corpi e medica gli amici. Passano un giorno e una notte terribili, all’alba attaccano di nuovo, ma i giapponesi sono più numerosi e costringono i nemici a ripiegare e a scendere la rete da carico. Desmond esita, non può andarsene, c’è qualcuno che ha ancora bisogno di lui, non può abbandonare i feriti che, senza aiuto, non supererebbero la nuova notte. Così rimane. Resta sul campo di battaglia, senza armi, completamente solo per salvare gli amici, i compagni e chiunque abbia bisogno di essere salvato, mentre i giapponesi si aggirano nelle vicinanze pronti a sparare a qualsiasi cosa si muova. Prender parte alla guerra non significa per forza far del male. Desmond Doss in guerra ha salvato la vita di 75 persone. Riuscendo a muoversi per il campo senza essere visto, riesce a raggiungere i feriti, li trascina fino alla rete e li cala giù dalla scarpata con una corda. Ad ogni uomo è sempre più stanco, ma non molla, continua a pregare e a ripetere: “Ti prego, Dio, aiutami a salvarne ancora uno. Ancora uno”. I soldati accampati al fondo della rete capiscono che qualcuno di loro è rimasto su, si mettono al lavoro per raccogliere i feriti che scendono dall’alto man mano e realizzano che è proprio Doss il Vigliacco ad averli salvati, ridando a tutti speranza. Poco dopo gli americani conquistano Hacksaw Ridge, scacciando i nemici. Grazie al suo gesto Desmond si è guadagnato il rispetto dei compagni, dei superiori e di tutto il popolo americano. Il 12 ottobre 1945 gli conferiscono la più alta onorificenza militare, la Medal of Honor.
Muore 61 anni dopo, ma viene ricordato ancora a lungo, poiché è questo ciò che un eroe come lui merita. Questo e molto altro, perché in un’epoca piena di potenti che si definiscono “eroi” per la loro intenzione di proteggere il mondo, qualcuno di umile che preferisce salvare con le proprie mani una persona alla volta è molto più prezioso di qualsiasi altra cosa.
Isabella Scotti