Una scuola per Haiti, con la prof.ssa Gavinelli

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foto-gavinelli12 Gennaio 2010, Martedì. Un sisma del settimo grado della scala Richter, con epicentro 25 Km a ovest-sud-ovest di Port Au-Prince colpisce lo stato caraibico di Haiti. Centinaia di migliaia di morti. È una cosa che colpisce. Ha colpito evidentemente anche Gabriella Gavinelli, docente della nostra scuola, che ha fatto quest’estate un’esperienza di volontariato ad Haiti organizzato da Maurizio Boganelli, capomissione dell’ONLUS “Una scuola per Haiti”. L’ONLUS “Una scuola per Haiti” si occupa della costruzione di una scuola per i villaggi di Gros Vaud, Bois Blanc e Gros Balance, e Beaugé secondo criteri antisismici e capace di trasformasi in “Shelter” (rifugio) in caso di tifone tropicale. Il progetto dell’edificio modulare (ovvero ampliabile in altri blocchi in futuro) capace di ospitare 150 persone comprendente otto aule, un ufficio, una cucina ed un ampio locale polivalente. Il progetto comprende anche sistemi igienici non inquinanti ed un sistema di raccolta, stoccaggio e potabilizzazione dell’acqua. Sono in via di studio altri progetti per la realizzazione di un centro di primo soccorso pediatrico, e della semi-autonomia alimentare della scuola, di modo che possa essere il punto di partenza per un programma di sviluppo più ampio delle comunità. L’anno scorso- ha detto – ho pensato che mi sarebbe piaciuto fare un’esperienza di volontariato in estate, ma bisogna essere qualificati. Ha raccontato di essere venuta a conoscenza di questa opportunità da Isabella Fisicaro, madre di uno dei fondatori della ONLUS nonché capo missione, Maurizio Boganelli, quando questa le ha suggerito di devolvere il 5×1000 all’ONLUS del figlio. E così, un po’ grazie ad un lungo ed intenso carteggio con il capo missione, un po’ grazie alla mediazione della madre, ha preso parte alla missione, direzione Haiti. Durante il carteggio – ha raccontato – ho appreso le prime difficoltà della missione, come il passaggio della frontiera (che in parte era facilitato dai simboli internazionali sull’auto), la presenza di colera nella zona, la necessità di fare diversi vaccini o la penuria d’acqua nella zona. Lì si sarebbe occupata principalmente di intrattenere i bambini dei villaggi di Gros Vaud, ma spesso il gruppo non era costante, perché sin da piccoli non avevano nessuno che badasse a loro. Alcune volte i bambini dovevano lavorare,e spesso erano lasciati da soli, quindi anche solo la presenza di un adulto che stesse loro vicino era per i bambini qualcosa di straordinario; era molto importante anche il contatto fisico. I bambini erano vestiti con abiti spesso rovinati, di recupero e sovente fuori misura, provenienti dall’Europa, e molti di loro erano scalzi. Le acconciature erano molto curate e complesse, sia per i maschi che per le femmine, che portavano una gran quantità di mollette colorate tra i capelli. L’igiene era scarsa, anche perché non c’erano le condizioni adatte al fine di mantenerla; era stato costruito un canale artificiale per permettere ai bambini di farsi il bagno ed erano stati posizionati dei rubinetti vicino alla scuola per insegnare loro a lavarsi le mani prima di mangiare. I bambini erano molto attaccati fino a che eri vicino a loro, ma sapevano lasciarti andare quando c’era la necessità. Non facevano capricci, e si accontentavano di quello che avevano al momento perché erano più abituati a vivere il momento in quanto il loro futuro poteva cambiare da un momento all’altro, spesso più in male che in bene. Non era però una questione di disaffezione ma quanto più un modo di difendersi da un’esistenza troppo dura. Anche quando si sono salutati l’ultima volta è stato un saluto normale, come se avessero dovuto rivedersi il giorno seguente. Comunque il lavoro con i bambini era stimolante ed appagante per la loro affettuosa accoglienza. Ci si accorgeva poi di quanto la diversità fosse soggettiva; qui il diverso è l’uomo di colore, ma lì ad Haiti i bambini erano tutti incuriositi dalla sua pelle bianca e dagli occhi chiari. Le condizioni umane erano degradate, e la vita aveva poco valore, anche la profilassi antimalarica era fatta molto raramente, vuoi per indolenza, vuoi per mancanza di fondi. Anche la mancanza di fondi è un serio problema, perché essendo la ONLUS un’associazione non-profit, i soldi venivano reperiti solo tramite do di beneficenza e la devoluzione del 5×1000; difatti al suo arrivo la professoressa ha trovato i lavori fermi, proprio per mancanza di fondi -ma adesso sono ripresi- ci ha assicurato. Risiedendo nella Repubblica Dominicana, al villaggio di Jimanì, le condizioni erano lievemente migliori che ad Haiti, ma anche lì mancava sovente l’elettricità che serviva a pompare l’acqua, e gli Haitiani erano tenuti fuori dal paese il più possibile. Il confine- ha detto la professoressa- era fortificato, e i controlli erano interminabili. C’erano cinque cancelli, quattro dalla parte haitiana ed uno dominicano, controllati da presidi armati. La situazione verso il centro del paese è terribile – io non credo che si possa risollevare mai Haiti. Si deve combattere con l’indolenza degli haitiani, che sembra si aspettino che il nord del mondo risolva ogni cosa. Non hanno prospettiva e vivono passivamente, alla giornata, e quello che trovano si tengono. Bisogna dare la speranza che capiti qualcosa di meglio, ma sembra poco probabile- dice la professoressa. Nel suo articolo la professoressa parla di un ragazzo che è andato da lei uno degli ultimi giorni, con la richiesta di farsi insegnare il latino, ma quando chiediamo alla professoressa perché sia così convinta che Haiti non possa risollevarsi, nonostante esistano persone come quel ragazzo, ci dice che purtroppo era un caso isolato, anche se comunque le ha dato speranza, e le ha fatto credere che il lavoro che stava facendo avesse un senso, per dare un futuro ad Haiti, e che, in effetti, forse Haiti aveva una speranza. In conclusione dice che è un’esperienza sicuramente da provare almeno una volta nella vita, perché ci si rende conto del valore di tutti comfort che noi consideriamo naturali, ma che bisogna essere disposti a fare e a dare, servono volontà e disponibilità. Infine di che forse quello che spinge a fare queste azioni di volontariato è una necessità di fare qualcosa di utile anche per se stessi: “È senza dubbio più quello che si riceve che quello che si dà.”.

Davide Costa (2H)

se volete maggiori informazioni sulle iniziative della ONLUS Una scuola per Haiti

http://www.unascuolaperhaiti.it

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