La mareggiata riprende, il temporale non si è ancora esaurito. Un’altra ondata di manifestazioni si è sollevata quest’autunno, portando in piazza centinaia di alunni da tutte le scuole, dagli istituti tecnici agli atenei. Così, per ribadire ancora una volta la loro opinione, gli studenti torinesi hanno nuovamente invaso le strade del centro il 17 novembre (Giornata mondiale per il diritto allo studio), con un lungo corteo che ha avuto inizio in piazza Arbarello ed è terminato in piazza Vittorio. Musiche, cori e striscioni hanno scosso le vie, ma chiunque abbia avuto esperienza delle manifestazioni precedenti si sarà sicuramente accorto che l’entusiasmo della folla si è affievolito; è ormai passato un anno e ancora non si scorgono cambiamenti o ripensamenti sull’orizzonte politico.
Il gioco del ‘68 ha stufato gli alunni perditempo? O semplicemente la frustrazione ha lasciato il posto alla rassegnazione e all’angoscia del vedere le proprie idee, le proprie urla perdersi nel vuoto, in un silenzio sconcertante? Si manifesta solo più per disperazione? Può darsi. Del resto, lo spirito stesso delle manifestazioni è sempre meno chiaro: ci impegniamo a dire che l’istruzione è più importante di qualunque risparmio economico, che non va considerata una questione politica ma culturale, che noi studenti siamo il futuro della nazione e andiamo ascoltati indipendentemente dalle correnti politiche; ma poi nelle manifestazioni, fra le varie musiche di accompagnamento spiccano Bandiera Rossa, l’Internazionale, canzoni antifasciste e altre meraviglie che oltre ad essere fuori luogo (non siamo proprio noi a dire che la politica non c’entra?) danno la possibilità al governo di trattarci come esponenti dell’opposizione, come dei politicanti, non come i padroni della nostra istruzione.
A diminuire ulteriormente la serietà delle proteste sono i motti ingiuriosi che vengono rivolti principalmente alla persona del Presidente del Consiglio, del ministro Gelmini e del ministro Tremonti. Rabbia repressa che finalmente si manifesta? Oppure semplice voglia di “fare casino”? Difficile rispondere, ma per quanto le proprie idee spingano ad una bassissima considerazione dei suddetti esponenti del governo Berlusconi, bisogna saper distinguere i diversi contesti ed evitare che la manifestazione stessa risenta di questi insulti, perdendo la sua dignità. Sono già tante le cose da dire e da discutere che con un po’ più di fantasia questi cori (che, si è visto, non portano da nessuna parte) potrebbero essere sostituiti da proposte, idee e da una presa di posizione più solida. In un paese dove tutti urlano per dire qualunque cosa, dove il rispetto per gli altri è affettato o inesistente, forse la serietà e la fermezza rispettosa sono le uniche maniere per attirare l’attenzione e magari imporsi un poco su chi normalmente è abituato ad alzare la voce, senza realmente parlare …
Eugenia Beccalli (3F) con la collaborazione di Chiara Murgia (1C)