Forse ne siamo veramente convinti, forse è solo un modo per rassicurare noi stessi, ma quello che ci viene proposto ogni giorno dalla nostra società va sempre bene. E se qualcosa non torna, è questione di gusti. E se qualcosa non si capisce è questione di generi. A prima vista potremmo sembrare la popolazione più critica d’Europa, ma alla fine ci lasciamo scorrere addosso di tutto, abbaiamo tanto e non mordiamo mai. In pullman, per strada, al mercato, a casa le critiche sgorgano copiose dalle nostre bocche, riguardo spettacolo, economia e politica. Critiche che se fossero considerate seriamente sarebbero delle vere e proprie armi di selezione culturale, ma che pronunciamo senza ragionare. Citando Franco Battiato, “noi siamo liberi di fare quello che vogliamo: uccidere, stuprare, rapinare e vomitare critiche insensate” (Stage Door), e per quanto al confronto di uno stupro il parlare senza pensare possa sembrare una sciocchezza, è uno di quei casi in cui, a tutti gli effetti, ne ferisce più la lingua che la spada. La cultura stessa, che si è evoluta come l’uomo mediante la selezione di un pubblico critico, audace, brillante, diverso, sta diventando un ammasso statico di nozioni da dare per scontate o peggio, per accertate. La qualità di un prodotto non viene più discussa, commerciale o culturale che sia. Regna una sorta di pigra cordialità, nella quale non vi è posto per il vero spirito d’osservazione, che rischierebbe di rompere l’equilibrio di finzione per cui tutto va bene e nessuno è costretto a confrontarsi. Senza un predatore naturale (lo spirito critico), le prede (libri, musica, spettacoli, politici, mostre, mode, iniziative, progetti) si riproducono a ruota libera e sopravvivono tutte indistintamente, comprese quelle che non hanno le giuste caratteristiche per abitare degnamente questo mondo.
Eugenia Beccalli (3F)