Venezuela: la democrazia della miseria

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Immagine Venezuela Pujatti 2Venezuela, 20 Maggio 2018. Nicolas Maduro, leader del Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV), vince le elezioni presidenziali con quasi il 68% dei voti. L’affluenza alle urne è stata minima: secondo i dati ufficiali il 52% dei cittadini non si è presentato ai seggi. Tuttavia secondo l’opposizione e Meganálisis, società venezuelana di consulenza sull’opilione pubblica, i votanti sarebbero stati meno del 20%.

Fin da subito sono nate svariate controversie sulla legittimità di queste elezioni: cittadini venezuelani di tutto il mondo hanno protestato contro la proroga di un governo che sta assumendo sempre di più le forme di una dittatura, un governo incapace di affrontare concretamente i problemi del paese.

Non solo nelle principali città sudamericane, ma anche nel resto del globo numerosi nuclei di cittadini venezuelani si sono appellati alla comunità internazionale perché invalidasse le elezioni e esigesse l’abdicazione del presidente socialista.

Tuttavia, non è solo un problema del popolo: sono molti i governi che non riconoscono valido il processo elettorale: dai principali oppositori regionali, quali Colombia e Brasile, agli Stati Uniti, che considerano queste elezioni antidemocratiche.

Maduro ha inoltre violato le leggi sulla campagna elettorale, ponendo pressioni sugli elettori per mezzo della distribuzione di cibo. Contro il problema della denutrizione, lo Stato distribuisce per legge latte in polvere e pasta alla popolazione, ma durante queste elezioni sono state consegnate porzioni extra per chi si è recato a votare.  L’acquisto di cibo è quasi impossibile per le famiglie a causa dei prezzi esorbitanti dovuti alla svalutazione: un chilo di carne o pollo, per esempio, può arrivare a costare quanto un mese di salario minimo, (all’incirca due dollari statunitensi). Questa situazione ha intimorito molti cittadini, che hanno temuto di poter essere eliminati dal programma alimentare se non avessero sostenuto la rielezione del Presidente alle urne.

Oltre alla pressione sull’elettorato, i crimini del Partito Socialista includono anche una violenta repressione dell’opposizione: ai principali partiti avversi è stato impedito di prendere parte alle elezioni, figure politiche chiave nella lotta all’attuale regime sono state stroncate nella loro campagna elettorale,  proteste contro il governo sono state represse con la forza, i cui attivisti sono stato arrestati e esiliati.

È dal 2013 (anno in cui per la prima volta Nicolas Maduro è stato eletto presidente) che la Repubblica Bolivariana del Venezuela sta vivendo una profonda crisi economica, istituzionale e sociale. Le cause che hanno maggiormente influito sull’economia del paese sono due: la crisi finanziaria mondiale del 2007/2008 e il crollo dei prezzi del greggio, principale bene di esportazione del paese.

Non tutte le colpe tuttavia si possono attribuire a fattori esterni. Infatti se l’economia locale ne è stata così tanto danneggiata, la responsabilità va soprattuto attribuita al governo del “Comandante” Hugo Chavez (Presidente dal 1999 al 2013), al suo successore Nicolas Maduro e alla loro politica di nazionalizzazione dell’estrazione petrolifera e dell’agricoltura. Invece di attuare un piano per ingrandire la riserva di petrolio e differenziare l’economia (progetto che avrebbe reso l’economia molto più stabile di fronte alle oscillazioni del valore petrolifero), i due governi chavisti dal ’99 a oggi si sono principalmente concentrati sulla repressione del malcontento causato dalle loro pessime manovre politiche. Non si sono mai veramente impegnati per affrontare concretamente i seri problemi dello stato con il tasso di miseria più alto al mondo.

Maduro continua a sostenere che la profondissima crisi sia causata dall’influenza nascosta degli Stati Uniti, della Colombia e del Brasile. La maggior parte degli economisti, però, attribuisce ogni responsabilità alla mancanza di lungimiranza del governo in fatto di macroeconomia.

La storia ci insegna, tuttavia, che i paesi economicamente più influenti spesso hanno destabilizzato e causato il crollo di numerosi governi stranieri per ottenere vantaggi e potere sui territori ricchissimi di risorse, a discapito della popolazione locale. Gli Stati Uniti si sono distinti in questo campo con le loro azioni in Medio Oriente, ma anche nel continente sudamericano non sono certo mancati interventi per salvaguardare esclusivamente i propri interessi: per esempio è ormai più che comprovata l’influenza che hanno esercitato i “difensori della democrazia” nella caduta del governo Socialista in Cile nel 1973.

I crimini del PSUV sono certi e imperdonabili, e a questo si aggiunge una pessima gestione del paese e delle risorse. In questi casi, però, non ci si può solo soffermare su quello che ci dicono i media e le apparenze, soprattutto quando si parla del Venezuela, il paese con le più grandi risorse petrolifere al mondo.

La iena a stelle e strisce circonda l’animale ferito, incapace di risollevarsi dopo esser stato sopraffatto in battaglia. Ha perso, forse per sciocca superbia, forse per ingenua incapacità. La iena sorride mostrando i denti aguzzi: dopo che avrà prosciugato le sue risorse fino all’ultima goccia, della sua preziosa vittima non rimarrà che qualche osso sparso nella terra arida.

Gabriele Pujatti, corrispondente dal Cile

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