Non è per niente facile la vita da giornalista in località come Kabul, Uganda e Bardonecchia a maggio.
Qualcuno potrebbe pensare che la prima settimana di maggio (iniziata , tra l’altro, con una visita del Santo Padre) potrebbe portare, finalmente, un po’ di calore e bel tempo su un po’ tutta la penisola. Beh, quel qualcuno è un povero illuso. Da lunedì a mercoledì il tempo è andato progressivamente peggiorando. La sfiga ha poi raggiunto i massimi storici mai registrati nella zona quando, l’unica sera in cui era prevista un’uscita, è nevicato come in Siberia a dicembre. Il sole è quindi uscito l’ultimo giorno, in accordo con tutte le leggi fantozziane, e, almeno per due ore, ce lo siamo goduto… meglio di niente!
Abbiamo inoltre appurato che un giornalista non può considerarsi degno di questo nome se dorme più di tre ore a notte (e se non fa riunioni alle ore più improponibili per questioni vitali quali scotch e caratteri). Inoltre, la vita del giornalista è capace di creare confusioni spazio temporali scombussolando ogni ritmo sia biologico che fisiologico, e dilatando a dismisura paesini di 100 metri per 100 rendendoli abnormi.
C’è da dire che quest’esperienza ha portato di positivo la riscoperta del valore della siesta post prandiale (iniziamo a comprendere gli spagnoli!).
Perciò, in conclusione, quando mi chiederanno come sia fare il giornalista sul campo risponderò: molto bello, ma non a Bardonecchia sotto la pioggia.
Riccardo Tione