Giovedì 19 gennaio, gli inviati di UmberTimes hanno partecipato a una conferenza tenuta da David Grossman. Scrittore e saggista israeliano, autore di romanzi per tutte le età, è considerato tra i più grandi scrittori e romanzieri contemporanei, noto per il suo stile semplice e avvincente. L’evento ha visto la partecipazione di un vasto pubblico; molti dei presenti erano studenti liceali e universitari torinesi. Il Convitto ha avuto la possibilità di partecipare grazie all’organizzazione di Alessandra Piras, bibliotecaria ed educatrice della nostra scuola.
In questa “lezione”, rigorosamente in inglese, che si è svolta alla Scuola Holden di piazza Borgo Dora 49, Grossman ha affrontato molti temi, soffermandosi particolarmente sulla storia di Bruno Schulz che, a sua volta, era uno scrittore e artista ebreo polacco. Attraverso aneddoti, storie e citazioni, ha raccontato la tortuosa vita di Schulz rispecchiandosi nelle sue esperienze e nel suo modo di vivere: entrambi sono stati vittime di persecuzioni e discriminazioni a causa della loro religione; e grazie a ciò hanno trovato la forza e il coraggio di scrivere sulla Shoah. “I must write something about the Shoah” ripeteva in continuazione; questo era il suo sogno fin da bambino. Schulz lo convinse ancor di più a scrivere sulla vita e su ciò che il Nazismo aveva distrutto. Grossman era talmente legato a questa persona che lo ha inserito come personaggio in uno dei suoi più famosi romanzi, “Vedi alla voce: amore”, facendo di lui il simbolo della civilizzazione e della capacità di cambiare punto di vista. Il 19 Novembre 1942 Schulz venne ucciso da un ufficiale della Gestapo, e raccontandolo Grossman ha detto che con la perdita di una persona cara ci si sente “freddi”, esattamente quello che ha provato con la perdita del figlio Uri nella guerra con il Libano.
Un altro grande argomento che ha affrontato è la questione dell’appartenenza a qualcosa di concreto: “Ci sentiamo veramente a casa? Anche quando pensiamo di esserlo? Probabilmente questa è una domanda a cui non si può dare una risposta.” Nonostante ciò, l’autore è convinto che l’unica cosa che ci fa sentire “a casa” sia la lingua, attraverso la quale creiamo la nostra storia ed esprimiamo le nostre opinioni. Questo è il compito degli scrittori, che sono obbligati a scrivere belle storie che trasmettano emozioni e la sensazione, appunto, di essere “a casa”. Alla fine dell’incontro l’autore si è fermato per autografare i suoi romanzi e la foto di rito che non ci siamo fatti scappare.
Cecilia Achino, Chiara Pipino