Eleanor viveva in un appartamento buio, impregnato dall’odore di muffa e dal suono del silenzio. Il ticchettio dell’orologio appeso alla parete era la sola voce che le tenesse compagnia, scandendo minuti vuoti e sempre uguali. Ogni sera si sedeva davanti allo specchio del suo bagno. Lo fissava a lungo, cercando qualcosa. Ma il riflesso era sempre lo stesso: un volto scavato, occhi cerchiati che sembravano guardare dentro un pozzo senza fondo. Aveva smesso di chiedersi chi fosse quella donna.
Sul tavolo della cucina, accanto a un piatto sporco e una bottiglia di whisky vuota per metà, c’era una scatola di pillole. Eleanor non ricordava più quando avesse iniziato a prenderle, ma ricordava il momento in cui avevano smesso di funzionare. Le ingoiava comunque, come un’ossessione, sperando che l’oblio arrivasse, prima o poi.
La chiesa dove lavorava era il suo unico rifugio, un posto dove il buio interno si mischiava a quello esterno. Le luci fioche delle candele gettavano ombre lunghe sui muri, trasformando ogni angolo in un luogo di fantasmi. Ogni giorno puliva con mani tremanti l’altare, raccolta in un silenzio che sembrava quasi vivo, come se la stesse osservando, giudicando. Lì incontrava Padre McKenzie, uomo che si aggirava tra le navate, quasi fosse stato lui stesso un’ombra.
Padre McKenzie scriveva prediche che nessuno ascoltava, frasi strappate da una fede che si era trasformata in un lento veleno. Passava ore nel suo studio a scrivere compulsivamente, ma le parole sulla carta si scomponevano davanti ai suoi occhi, trasformandosi in segni privi di senso. Ogni notte, lo si poteva sentire mormorare preghiere frammentate, come se cercasse di esorcizzare qualcosa che non voleva rivelare nemmeno a se stesso.
“Che senso ha tutto questo?” chiese una volta a Eleanor, senza sollevare lo sguardo dal foglio.
Eleanor non rispose. Ma quella notte, tornando nel suo appartamento, la domanda la perseguitò. La sentì nel ronzio dei lampioni, nel cigolio delle scale del palazzo, nel vento che ululava tra le finestre incrinate. Quando si sedette al tavolo della cucina, aprì la scatola delle pillole e ne prese una manciata. Poi guardò il suo riflesso nella finestra annerita dalla notte. “Che senso ha?” mormorò, e fu come se una voce, dall’altra parte del vetro, le rispondesse.
La mattina seguente, Padre McKenzie notò l’assenza di Eleanor. Le ore passarono, e il senso di inquietudine si fece più pesante, come un cappio invisibile intorno alla gola. Si convinse a cercarla. Entrò nel suo appartamento e fu accolto da un odore dolciastro e pungente. La trovò distesa sul pavimento della cucina, il corpo rigido, le mani ancora aggrappate a una bottiglia vuota. Intorno a lei, pezzi di specchi frantumati riflettevano frammenti del suo volto, distorto in espressioni che non sembravano umane.
Nella sua mente, le preghiere si spezzarono. Avanzò verso il corpo di Eleanor, cercando di recitare il rosario, ma le parole si fermarono in gola. Quando infine seppellì Eleanor, era solo. Non c’erano amici, né parenti, né voci a confortarlo. L’unico suono era il vento, che soffiava tra le tombe, come un lamento. Quella notte tornò nella chiesa e si chiuse nel suo studio. Bruciò le sue prediche, ogni pagina, ogni parola. Si inginocchiò davanti al crocifisso, cercando redenzione. Ma l’angoscia era ancora lì. Non lo avrebbe mai lasciato.
Il giorno dopo la chiesa era vuota. Eleanor Alice Rigby era morta. E anche Padre McKenzie era scomparso. L’unico segno della sua presenza era un quaderno lasciato sull’altare, con una sola frase scarabocchiata sul foglio:
“Tutti soli, tutti folli, tutti morti.”
Stella Camilla Brao