Whiki te Ra

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Nuova Zelanda. Per chiunque abbia una conoscenza minima di questo paese o per un qualsiasi appassionato di rugby il collegamento è immediato: il paese dei maori. Ma che ruolo questi giocano poi veramente nella società neozelandese? Il primo benvenuto che ci è stato offerto è stato espresso con l’Haka propria della nostra scuola. Come ci è stato subito specificato, questa è una danza rituale che presenta infinite variazioni e interpretazioni, prestandosi a essere personalizzata, come infatti accade, assumendo una forma differente per ogni scuola e necessità. I grossi ragazzi dalla carnagione olivastra che a pochi centimetri da noi pestano i piedi nella rappresentazione di una danza di guerra non mancano di suscitare una certa impressione. Intimoriti dal peso dell’antica cultura (e anche un pò da quello dei ragazzi) che ci si para davanti, ascoltiamo incantati il lungo discorso in lingua nel quale ci espongono qualcosa che per noi resta ignoto, poichè persi in quei suoni gutturali e colpi di tosse non pensano a fornirci la necessaria traduzione inglese. Ammaliati da questo sfoggio, usciamo dal piccolo tempio e i nostri occhi si aprono improvvisamente su orizzonti più ampi. Non è lungo il passo che ti permette di vedere la più concreta verità. L’immagine dell’idilliaco convivere di due culture profondamente diverse non è altro che ciò che l’ignoranza fa sì che trapeli nel nostro mondo occidentale. Quelli che ad un primo e superficiale esame scambi per i segni di due culture ancora vive e forti affiancate in uno stesso paese, assumono, ad un secondo sguardo, la forma di una profonda e radicata discriminazione, presente in entrambi i popoli l’uno nei confronti dell’altro. Gli stessi ragazzi crescono soffocati da questi pregiudizi, e mentre la popolazione bianca si sente storicamente autorizzata a sentirsi superiore, gli altri crescono in un clima di rabbia nei confronti degli altri che non lascia spazio e compromessi. Divisi tra di loro secondo il colore della loro carnagione, i gruppi mantengono le distanze gli uni dagli altri e i due diversi accenti che li contraddistinguono sono il segno di un conflitto che arriva nello sfociare in violente risse. Il libro di racconti dello scrittore maori Ihimaera, esplicita nelle sue storie il disagio sociale, esprime la discriminazione della quale sente vittima il suo popolo in tutti gli ambiti, dal politico al lavorativo, per comprendere anche quello delle più private interazioni fra individui. E così, leggendo di una madre profondamente e sinceramente disperata a causa del rapporto della figlia con un ragazzo di colore, della consapevolezza dello stesso di questo disagio mal celato da una facciata di fredda cortesia, di un brillante uomo in carriera frenato nel suo successo dalle sue origini o di una rissa sfociata solo a causa di una discussione riguarda le origini del primo uomo che toccò suolo neozelandese, vedi emergere la verità. Il paese delle pecore e del rugby offe a occhi esterni solo la parte più commerciale e turisticamente favorevole dell’antico popolo che la abita. La contraddizione è però evidente. Collanine maori e qualche parola imparata per caso sono il souvenir migliore da portare a casa, gli All Blacks, nazionalmente venerati si esibiscono ad ogni partita nella loro Haka. Ma il tutto non è che la superficie, la maschera che la Nuova Zelanda offre al mondo, la maschera che nasconde la divisione interna di questo paese ancora diviso tra due diverse culture, non pronto ad una reale integrazione.

 

Michela Borgogno (4C)

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